Politica

Draghi scende in campo per difendere Visco dall'assalto della politica

Presidente Bce in prima fila contro il tentativo di Renzi di non rinnovare il mandato. Si rivede Fazio

Draghi scende in campo per difendere Visco dall'assalto della politica

Quando il gioco si fa duro, in Bankitalia non stanno a guardare. Di fronte alla poltrona traballante del governatore Ignazio Visco (in scadenza di mandato rinnovabile per altri sei anni) ieri si è assistito a uno schieramento di forze senza precedenti. In una plateale difesa dell'indipendenza e della storia di Palazzo Koch dall'assalto della politica. Come a dire: Visco non si tocca, i problemi del Paese non sono qui.

Gli ultimi ex governatori della Banca d'Italia, nonché gli unici due ancora viventi, hanno varcato entrambi la soglia di via Nazionale per andare ad ascoltare le «Considerazioni Finali» di Visco. Il rito di osservanza laica che da sempre celebra, con l'istituzione, anche l'autonomia del suo potere. L'uno, Mario Draghi, addirittura in rappresentanza della Banca Centrale Europea, di cui è presidente. L'altro, Antonio Fazio, è stato invece l'ultimo monarca assoluto in via Nazionale, quando la nomina era a vita. Un fatto così straordinario non può essere stato un caso.

La presenza di Draghi - il primo governatore «a tempo» nominato dopo la riforma di Bankitalia varata nel 2010 proprio sulla scia delle accuse (aggiotaggio) che avevano travolto Fazio - ha il valore simbolico del pieno appoggio della massima carica bancaria europea al governatore italiano. Sotto scacco per le difficoltà delle 4 banche finite in risoluzione nel 2015 e di quelle venete che rischiano il bail in in queste settimane. Oltre che per i casi critici di Carige e, soprattutto, Mps. Mentre la comparsa di Fazio, che ha chiuso ogni pendenza giudiziaria, rappresenta il raccordo con il l'antico sistema nazionale, poi sostituito dalla Bce, che in ogni caso aveva garantito per 60 anni la piena stabilità bancaria. Ecco allora che vecchio e contemporaneo accorrono in supporto dell'istituzione Bankitalia quando questa è di nuovo minacciata.

Lo è perché l'ex premier Matteo Renzi imputa a Visco parte delle responsabilità per il pantano Mps e soprattutto per il crac di Etruria (con il danno collaterale del vicepresidente padre del ministro Boschi), per il quale non si sarebbe abbastanza adoperato. E con le elezioni sempre più vicine, potrebbe essere di nuovo Renzi, o comunque un premier retto da un'alleanza sotto la sua regia, a nominare il prossimo governatore a fine ottobre. E a non confermare Visco preferendogli magari un esterno gradito, come Marco Fortis o Lucrezia Reichlin. Per i custodi dell'ortodossia di Bankitalia sarebbe sacrilegio, essendo la provenienza interna garanzia di autonomia, a maggior ragione dopo l'introduzione del mandato a tempo. L'unica eccezione, Draghi appunto, equivalse a una cooptazione necessaria a superare lo choc Fazio; comunque associata all'introduzione dell'attuale governance collegiale, per cui a comandare non è più il governatore, ma il direttorio a cinque (composto anche da direttore generale con i suoi tre vice).

La trincea di Bankitalia non è però puro orgoglio corporativo. Gli uomini di Visco tengono il punto davanti all'assalto della politica sulla convinzione che il problema-Paese non siano le banche. Certo, forse si poteva vigilare meglio e «non sta a me giudicare» ha detto Visco ieri. Non è nemmeno la politica monetaria Bce che può minare il Paese: «l'aumento dei tassi è già in corso - dicono ai piani alti - e lo sappiamo gestire.

In ogni caso il debito pubblico costa mediamente il 3%: anche con tassi in tensione non può aumentare, al massimo scenderà di meno».

Il problema numero uno è invece tutto politico: è il debito pubblico al 130% del Pil. Un avanzo primario del 5% l'anno - dice Visco - per 10 anni si può fare: porterebbe il debito in sicurezza e darebbe ai mercati il segnale più forte. Bisogna tagliare le spese. Mentre se questo segnale non arriva e, anzi, ne partono altri (come l'ipotesi della legge elettorale proporzionale) che fanno pensare a nuova instabilità, il rischio che i mercati si rigirino come nel 2011 resta dietro l'angolo. Si tratta di una chiara responsabilità politica - dicono qui a Palazzo Koch - e non «bancaria». Ognuno faccia allora il suo.

Senza invasioni di campo.

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