Una partita aperta fino all'ultimo minuto, quella che si giocherà oggi nel plenum del Consiglio superiore della magistratura intorno alla nomina del nuovo procuratore della Repubblica di Milano. È una decisione carica di implicazioni e conseguenze, perché arriva all'indomani del terremoto che - innescato dal processo Eni e dai verbali del «pentito» Piero Amara sulla loggia Ungheria - ha devastato la Procura milanese, portando sotto procedimento disciplinare e inchiesta penale numerosi suoi esponenti, a partire dall'ex procuratore Francesco Greco. Per questo sarebbe importante che il Csm desse un segnale di svolta rispetto ai sistemi di lottizzazione dell'epoca in cui vi regnavano Luca Palamara e gli altri signori delle correnti. Ma alcuni segnali dicono che per adesso sono ancora le correnti a spingere per i loro tesserati. Con la prospettiva concreta che alla fine a risultare decisivi siano i voti di due alti magistrati, membri di diritto del Csm, anch'essi però apparsi nelle cronache di questi mesi difficili vissuti dalla magistratura italiana.
Si tratta di Pietro Curzio, primo presidente della Cassazione, e del procuratore generale della medesima corte, Giovanni Salvi, entrambi nati e cresciuti tra le fila di Magistratura democratica. Il problema del primo è che si tratta di un presidente dimezzato, la cui nomina è stata dichiarata illegittima dal Consiglio di Stato, ripetuta paro paro dal Csm e nuovamente impugnata da un altro aspirante. Può, Curzio, dare il suo voto decisivo su una nomina così delicata, col rischio che poi si scopra che non era legittimato a essere lì? Per Salvi il problema è più direttamente legato al caso della loggia Ungheria che ha squassato Milano. Piercamillo Davigo, che per avere divulgato i verbali relativi alla loggia è finito sotto processo, ha raccontato di averne riferito a Salvi, e di avere avuto la netta sensazione che il procuratore generale sapesse già tutto. Ma anziché avviare azioni disciplinari contro i magistrati appartenenti alla loggia, o chiedere conto formalmente alla Procura di Milano della sua inerzia investigativa, Salvi si sarebbe limitato a una sorta di moral suasion sul procuratore Greco (anche lui di Md) perché si decidesse finalmente a aprire una inchiesta.
Sia Salvi che Curzio potrebbero in teoria astenersi dal voto di oggi per motivi di opportunità. Se invece decideranno di scendere in campo, il loro voto si annuncia determinante. Perché nei calcoli della vigilia le posizioni dei due candidati più forti appaiono esattamente appaiate, con undici voti a testa. Su Marcello Viola, attualmente procuratore generale a Firenze, si concentreranno i voti dei sette magistrati moderati (Magistratura Indipendente e gli ex davighiani Ardita e Di Matteo) oltre che dei quattro membri di centrodestra designati dal Parlamento. Su Maurizio Romanelli, procuratore aggiunto a Milano, andranno i voti delle toghe di sinistra di Area e verosimilmente dei centristi di Unicost (che abbandonerebbero il loro candidato di bandiera, il procuratore di Bologna Gimmi Amato) oltre ai consiglieri di nomina politica di sinistra e dei 5 Stelle.
Se la situazione restasse bloccata sul pareggio, a prevalere per anzianità sarebbe Viola. Così il voto dei due vertici della Cassazione, qualunque direzione prenda, incoronerà il nuovo procuratore di Milano. Ma non cicatrizzerà le ferite profonde di questi mesi.
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