
Ci sono almeno 500 persone (per l'esattezza 479) che dall'anno scorso sono disposte a morire con il suicidio medicalmente assistito, nonostante una serie di protocolli sulle cure palliative esistenti in Italia. Il diritto alla dignità della persona e a non soffrire sono garantiti dalla legge 38 del 2010 ma l'assistenza qualificata di chi affronta una malattia terminale in questo Paese, di cui non si parla a sufficienza, è possibile ancora a macchia di leopardo. Ecco perché in tanti sono attratti dalla soluzione sublimata dalla sentenza della Corte costituzionale che ne ha sancito il diritto. «Dal 2024 riceviamo in media una telefonata al giorno», ci dicono dall'associazione Luca Coscioni. Dall'altro capo del telefono ci sono persone disperate che chiedono come funziona l'iter per accedere a cui il Numero bianco ha fornito la bozza di richiesta di verifica dei requisiti per poter accedere alla morte volontaria assistita.
La sentenza che ha aperto la strada è la 242/2019 della Corte costituzionale, che ha sancito la possibilità di un «aiuto indiretto a morire» da parte di un medico che non rischia il carcere. Ma servono quattro condizioni: piena capacità di intendere e volere, patologia irreversibile con gravi sofferenze fisico-psichiche, trattamenti di sostegno vitale, anche terapie e non necessariamente macchine.
Da allora a oggi sono 13 le persone che hanno ricevuto il via libera per l'accesso al suicidio assistito. Di queste otto sono morte in Italia (sei assistiti dal team legale dell'Associazione Luca Coscioni), altre cinque persone hanno scelto di non procedere. Segno che anche la volontà suicidaria può essere mutevole, come nel caso di «Antonio», il marchigiano tetraplegico dal 2014 che da due anni ha ottenuto il via libera ma ha deciso di continuare a vivere.
Il primo caso è stato quello di Federico Carboni, detto «Mario» come nome di fantasia per proteggere la sua privacy. Nel 2022 il 44enne di Senigallia ha vinto la battaglia legale e si è autosomministrato il farmaco grazie a una raccolta fondi, con la supervisione dell'anestesista di Piergiorgio Welby, Mario Riccio. Ma è stato il Veneto la prima Regione in cui la Asl ha aiutato la prima donna a morire: si chiamava «Gloria», era una paziente oncologica veneta di 78 anni che è stata seguita dall'Asl e dallo stesso Riccio: nel suo caso i farmaci antitumorali sono stati individuati come trattamento di sostegno vitale. Nel 2023 è toccato a «Anna» in Friuli Venezia Giulia: la 55enne era affetta da sclerosi multipla e si è autosomministrata a casa sua il farmaco letale con la supervisione dell'Asl di Trieste e del tribunale friulano.
Dopo è toccato a «Vittoria», veneta di 72 anni con sclerosi multipla secondariamente progressiva da 20 anni, morta nel dicembre 2023 in Veneto. Qualche mese fa è toccato alla lombarda «Serena», affetta dalla stessa patologia, che forte della 135/2024 della Corte costituzionale e dopo una battaglia legale è riuscita ad ottenere dalla Asl lombarda il farmaco ma è stata assistita dal dottor Riccio ed è morta lo scorso gennaio.
Ad aspettare l'ok c'è ancora una 54enne toscana completamente paralizzata a causa di una sclerosi multipla progressiva, che secondo la Asl non rientrerebbe nei paletti della sentenza 135/2024 della Corte costituzionale rispetto al requisito del trattamento di sostegno vitale.
A morire in attesa dell'ok sono stati invece la 70enne fiorentina «Gloria», affetta da broncopneumopatia cronica ostruttiva e morta con sedazione palliativa profonda il 9 febbraio 2025, la pugliese «Daniela» di 37 anni, affetta da un tumore al pancreas e morta nel 2021 due giorni prima dell'ok della Asl e il marchigiano Fabio Ridolfi, da 18 anni immobilizzato a letto e morto tramite sedazione profonda e continua. Restano in attesa l'umbra Laura Santi e Martina Oppelli, triestina tetraplegica, entrambe affette da sclerosi multipla. Quest'ultima si dice pronta ad andare in Svizzera per porre fine alle proprie sofferenze.