Cronache

E in aula il legale disse: e se fosse lui il killer?

Il bikini, l'orario e i capelli: ecco tutte le incongruenze sull'omicidio su cui indagare

E in aula il legale disse: e se fosse lui il killer?

L'inchiesta di Francesco Amicone sul sedicente Zodiac-Mostro di Firenze riaccende i riflettori su quella che fu la testimonianza più inquietante al processo Pacciani. Quella di Joseph Bevilacqua. Qualche domanda ad uno che aveva lavorato nella polizia militare americana - con capacità cognitive e mnemoniche dunque eccellenti - e che pure in aula disse cose eufemisticamente contraddittorie, sarebbe finalmente il caso di farla. Era il 6 giugno 1994 e Giuseppe o Joseph Bevilacqua si presentò al processo come teste d'accusa per parlare del delitto degli Scopeti dei francesi Nadine Mauriot e Jean Michel Kraveichvili, l'ultimo duplice delitto del Mostro e la più più clamorosa impresa del serial killer che, dopo aver ucciso Nadine, le staccò con una lama un lembo di pelle grande quanto un francobollo dal seno, lo separò dal grasso, lo infilò in una bustina di cellophane per preservarlo dalla putrefazione, adagiò il tutto in una busta e andò a imbucarla a San Piero a Sieve, inviandola al magistrato Silvia Della Monica in segno di sfida, anche se commise un errore ortografico nel siglare il destinatario: scrisse «Procura della republica» con una «b». Segno di poca confidenza con la lingua italiana, perché ignorante o straniero. Di certo aveva pratica con gli omicidi: non c'era alcuna traccia papillare sul cellophane, non leccò la busta né il francobollo appiccicato sopra. Accorgimenti che non si sa come potessero usare i compagni di merende.

All'epoca Bevilacqua abitava a trecento metri dalla scena del crimine, dietro al cimitero militare americano dei Falciani di cui era responsabile. Nessuno degli investigatori si prese la briga di sentirlo nell'immediatezza dei fatti. Fu lui allora, il giorno dopo la mattanza, ad andare dai carabinieri. Almeno così dirà in aula, perché nessuno verbalizzò e lui non seppe dire con chi parlò. Cos'avesse da svelare emerge in pubblico dibattimento proprio il 6 giugno 1994: disse che qualche giorno prima del delitto aveva visto i francesi accampati a qualche centinaio di metri dal luogo del delitto. Fece una descrizione così precisa che gli inquirenti scattarono delle foto: ricordò pure il bikini in costume nero di Nadine. E pure che aveva i capelli neri corti. L'avvocato Vieri Adriani, incaricato da alcuni parenti della coppia di ristudiare il caso degli Scopeti. scrisse sul suo sito: «Inattendibile pare la dichiarazione del teste italo - americano J. B. secondo il quale la tenda dei francesi sarebbe stata visibile sin dal mercoledì 4». Non basta. Più volte in aula Bevilacqua rammenta di aver sentito della morte dei francesi la mattina alla radio, intorno alle 6,30. Ma i cadaveri vennero rinvenuti per caso solo nel primo pomeriggio di lunedì 9 settembre dal cercatore di funghi Luca Santucci. Perché Bevilacqua chiese allora di essere sentito con tanta insistenza se i suoi ricordi erano tanto sbiaditi? Dice pure, il teste, che la sera del delitto i suoi cani erano molto agitati verso le undici e fino alle due del mattino. E questo, oggi, pone un problema in più: in un reportage del documentarista Paolo Cochi, due entomologi e tre medici legali sostengono che la morte della coppia andrebbe retrodatata di uno-due giorni, in virtù della presenza sui cadaveri della larva della mosca carnaria, che si sviluppa dopo 18 ore dalla morte. Se fosse acclarato cadrebbe l'intero castello accusatorio sui compagni di merende. C'è dell'altro. Bevilacqua raccontò che rivide la coppia sabato 7 o domenica 8 nel luogo dove poi sarebbero stati uccisi. Il problema della retrodatazione del delitto diventa così di estremo interesse: secondo Vieri Adriani, gli scontrini della coppia arrivavano fino a venerdì. Se i francesi fossero stati uccisi due giorni prima di domenica 8 settembre, ossia venerdì sera, come potrebbero portare a pensare lo studio degli entomologi e gli scontrini, Bevilacqua non avrebbe mai potuto vederli vivi di sabato o di domenica. Fu tuttavia, tanto confuso nei ricordi, ad essere certo di aver riconosciuto Pacciani aggirarsi sul luogo del delitto qualche giorno prima, pur avendolo descritto come un uomo dalla calvizie incipiente. Si fece un confronto sull'altezza dei due, Bevilacqua risultava almeno un palmo più alto.

Si somigliavano molto, notarono in aula. E qualcuno, fuori campo, si fece sfuggire una battuta, perfettamente udibile nella registrazione processuale: «Fosse lui il mostro?»

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