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E i fattorini "sfiduciano" il ministro: "Non ci crediamo più, solo bugie"

Le associazioni dei rider: saremo in piazza il primo maggio

E i fattorini "sfiduciano" il ministro: "Non ci crediamo più, solo bugie"

Roma - Adesso basta, non ci credono più. I rider, delusi dalle false rassicurazioni avute finora dai politici, pretendono i fatti. Basta con le parole, soprattutto sotto elezioni. «Finora il governo non ha mantenuto le promesse, noi non abbiamo fiducia, siamo in ritardo per una legislazione nazionale. Sappiamo che siamo in campagna elettorale, finché non vediamo non crediamo: abbiamo avuti gli ultimi contatti a gennaio», denuncia Tommaso Franchi, portavoce della Riders Union Bologna.

L'annuncio del ministro del Lavoro Luigi Di Maio di una imminente norma sui rider non scalda la categoria, che in Italia conta circa 15mila ciclofattorini «regolari». Meglio andarci con i piedi di piombo questa volta. È quasi passato un anno da quando il vicepremier M5s, fresco di nomina, annunciava ai rider l'inizio di un percorso per avere un lavoro meno precario. I rider erano entusiasti, invece da allora nulla è cambiato e sulla questione è calato il silenzio, rotto soltanto ora dalle minacce di un gruppo milanese di addetti al «food delivery» contro i vip «avari» di mance ai fattorini. È così che l'argomento è tornato in primo piano. Ma i rider, già scottati, ormai sono diffidenti. «Di Maio e il presidente dell'Inps Tridico ci avevano fatto promesse mai mantenute, ci sembra un teatrino a scopo di propaganda in vista delle Europee», attacca il loro portavoce annunciando che il primo maggio i ciclofattorini scenderanno in piazza contro governo e piattaforme. Il portavoce dell'associazione bolognese racconta così la storia delle false speranze inizialmente alimentate dal governo: «Il tavolo con noi di fatto si è concluso, nessuno ci ha più contattato. E dire che otto mesi fa ci avevano convocato, proponendo subito un articolato di legge da inserire nel dl dignità. Da lì una settimana dopo è arrivata la prima marcia indietro e si è aperto il tavolo con rider, sindacati e piattaforme. Il tavolo però non ha portato a nulla, le aziende non hanno mai fatto nessun passo verso di noi: a quel punto il governo ha preso atto della distanza tra le parti, dicendo ci abbiamo provato a questo punto interveniamo noi in modo legislativo. Infine, a inizio gennaio, siamo stati convocati per un emendamento da inserire nel pacchetto reddito-quota 100. Noi eravamo contenti, ma a marzo nel decretone la norma non c'è, perché, fatto grottesco, Fico la respinge per estraneità di materia. Noi da quel momento non siamo stati più contattati, abbiamo provato a sentirli senza risposte».

Eppure incontrare i rider, definiti il «simbolo di una generazione senza tutele», era stato il primo atto da ministro di Di Maio. «Ridare dignità al lavoro» era sembrato uno slogan di sicuro impatto all'esponente Cinque Stelle, che per un po' ha cavalcato questa battaglia convocando associazioni di rider, aziende, piattaforme di food delivery, aprendo tavoli di trattative nazionali che però non hanno portato mai a nulla.

Nel frattempo la decisione di Foodora di andare via dall'Italia era stata associata all'approvazione, alla Camera, del Decreto Dignità, dove però contrariamente agli annunci non c'era traccia di misure a tutela dei rider.

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