E a sorpresa Matteo apre sull'Italicum «Se ci sono i numeri si può cambiare»

Per la prima volta abbassa i toni dello scontro sulla legge elettorale. Poi evita la personalizzazione del referendum

Patricia Tagliaferri

Roma È un Renzi decisamente più morbido quello che parla dal vertice Nato di Varsavia. Dopo il faccia a faccia con il presidente Sergio Mattarella, il premier segue la linea suggerita dal Quirinale cercando di stemperare i toni sul referendum costituzionale, fino a qualche settimana fa decisamente troppo personalizzato, e si mostra anche più malleabile su un eventuale modifica all'Italicum.

Sulla legge elettorale, infatti, Renzi non è tranchant come qualche giorno fa. Il suo non è più un no secco, definitivo. Ne fa una questione di maggioranza. Se ci fosse, sarebbe pure disposto a parlarne, pur essendo convinto che l'Italicum è una buona legge elettorale perché dà ai cittadini la possibilità di capire chi vince e chi perde. «Se ci sono i numeri in Parlamento - apre Renzi - si può anche cambiare, io non li vedo, ma non faccio pressioni. Qualcuno dice Mattarellum, ma quando è stato proposto non c'erano i numeri. Se si vuole discutere bene, non ci sarà nessuna pressione da parte mia. Detto questo cala il silenzio stampa del presidente del Consiglio sulla legge elettorale».

Anche sul referendum i toni sono cambiati rispetto a qualche tempo fa. L'obiettivo è quello di spersonalizzarlo per evitare il risultato della consultazione sul ddl Boschi possa ripercuotersi sul governo e sulla legge di Stabilità, che si pensa ora di mettere in sicurezza votandola prima del referendum. Sulla data il premier non si sbilancia («non è nella disponibilità del governo, la legge dice che deve essere tra il cinquantesimo e il settantesimo giorno dalla decisione della Cassazione, io continuo a dire ottobre perché a naso si va lì, non direi settembre e neanche sotto Natale») e non si sofferma più di tanto sull'ipotesi di uno spacchettamento («sono per una scheda sola, ma se la Corte darà un altro giudizio non avrò problemi»).

Ciò che è cambiato nella strategia renziana è l'assoluta determinazione a spiegare i contenuto del pacchetto costituzionale, entrando nel merito della riforma.

«Il referendum - spiega - non è sulla legge elettorale, è su altro. Avverto la responsabilità morale di dire che il referendum è se si cambia o meno il numero dei parlamentari». Su questo, dunque, e su altre questioni legate al Parlamento. «Chi vota No lascia le cose come sono, chi vota Sì riduce il numero dei parlamentari», conclude il presidente del Consiglio. E per la prima volta sembra non voler scartare alcun esito: «Ci potrebbero essere anche risultati sorprendenti, ma mi fido del buonsenso dei cittadini. L'Italia ha il Parlamento più costoso tra i Paesi Nato».

È un Renzi diverso anche quando parla della possibilità che il risultato del referendum non sia quello sperato. Non accenna a eventuali passi indietro in caso di fallimento, spetterebbe al capo dello Stato intervenire. Ma non vuole lasciare agli avversari l'argomento della personalizzazione: «Sono altri che non vogliono affrontare nel merito la riforma costituzionale.

Io non posso fare di più, solo dire agli italiani di decidere, il popolo ha sempre ragione. Forse ho sbagliato a non raccontare bene su cosa si vota». Tanto che, dice, perfino il premier albanese Rama gli ha detto che il referendum è sulla legge elettorale.

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