Roma «Colui che non può cambiare idea è fanatico», disse una volta Winston Churchill. Mentre chi cambia idea ogni giorno è Luigi Di Maio. Europeista a fasi alterne, immigrazionista dal lunedì al venerdì, nei feriali è innamorato del Pd, i festivi vuole fidanzarsi con la Lega. E il reddito di cittadinanza? «Sarà il primo provvedimento». Anzi, non proprio subito perché «bisogna riformare prima i centri per l'impiego». Il capo politico del Movimento Cinque stelle è un campione mondiale della giravolta politica. Più opportunista che confuso. Alla fine di giugno dell'anno scorso diceva: «Alleanze? Nessuna apertura. Non faremo alleanze programmatiche con nessun partito». Poi sono arrivate le elezioni e Di Maio, all'alba del 5 marzo, ha scoperto di non avere la maggioranza per governare da solo. E ha cominciato a flirtare con Matteo Salvini, segretario del Carroccio. Messaggini, whatsapp, telefonate e un writer che ha ritratto i due intenti a scambiarsi un bacio appassionato nei pressi di Montecitorio. Di Maio, però, fa il prezioso: «Con Salvini parlo, con Berlusconi no». Anche se solo qualche anno fa, nel 2014, per l'allora vicepresidente della Camera, l'europarlamentare Salvini era «un campione di assenteismo». E a settembre del 2017, dopo il sequestro dei conti della Lega da parte dei Pm di Genova, Di Maio diceva: «La Lega Nord parlava di Roma ladrona e ora urla al complotto: abbiano almeno la decenza di restituire i soldi». Il Pd era «impresentabile» ma adesso è un interlocutore: «Sotterriamo l'ascia di guerra e diamo un governo al Paese», questo il recente invito fatto ai dem.
In Europa la sinfonia è la stessa, sempre dissonante. Di Maio era stato tra quelli che avevano benedetto l'entrata del M5s nel gruppo dei liberaldemocratici europeisti di Alde. Poi stoppata dal capogruppo liberale Guy Verhofstadt. Al capo politico grillino va bene anche l'anti europeista britannico Nigel Farage, demiurgo della Brexit: «È un leader lungimirante». Sull'euro la capriola è rocambolesca. Il 18 dicembre 2017 l'aspirante premier annunciava: «In caso di referendum voterei per l'uscita dall'euro». E il 9 gennaio 2018: «Non è più il momento per uscire dalla moneta unica». Nell'eterna diatriba tra Usa e Russia Di Maio, come al solito, sta in mezzo: «Noi non siamo né filo russi, né filo americani, siamo filo italiani - diceva poco più di un anno fa discutendo in tv con Marco Travaglio - ma le sanzioni alla Russia vanno tolte». E durante la visita a Washington di novembre corteggiava gli americani: «Gli Usa sono il nostro principale alleato». La Nato? «Siamo per restare ma abbiamo perplessità». Anche se non si capisce quali.
Nel 2011, da semplice militante M5s, Luigi si era fatto fotografare insieme a un gruppo di rifugiati ospitati in un albergo della sua cittadina, Pomigliano d'Arco nel napoletano. In prima linea per l'accoglienza dei migranti. Poi, da candidato premier, le Ong sono diventate «taxi del mare» e l'immigrazione «un business».
Il Movimento, guidato in Parlamento da Di Maio, si è astenuto sia sulle unioni civili sia sullo ius soli. Il reddito di cittadinanza, invece, da cavallo di battaglia, sembra sparito dall'agenda. Meglio non correre il rischio di cambiare idea per l'ennesima volta.
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