L'anima di Roma esiste e nasce a 400 chilometri più lontano: è il Tevere. Nella leggenda o nella cronaca, la storia della Capitale ha riprodotto le sorti del fiume a cui deve la sua stessa esistenza. Perfino secondo il mito, Romolo e Remo furono lasciati in una cesta proprio in balìa della corrente del fiume appena straripato. Già, perché sin dall'antichità Roma ha visto inondazioni e disastri che hanno determinato atteggiamenti opposti verso l'«anima» di Roma. A cambiare la storia fu la drammatica alluvione del 1870 che salutò l'ingresso dei piemontesi nella Capitale. Un secolo fa era una città fluviale, con la riva che arrivava all'altezza del manto stradale, e l'acqua arrivò praticamente fino a piazza di Spagna. Nasce così il Lungotevere di oggi.
Nasce un buco spazio-tempo sprofondato a 19 metri sotto il livello urbano. Da allora la città ha perso il contatto con il suo fiume. Quei muraglioni eretti per salvare Roma hanno dato vita all'«altra Roma», per natura e destino figlia illegittima, rifugio di clochard, di senzatetto, di poveri, di reietti, di persone sole ed emarginate. A Roma sono 35 i ponti sul Tevere e tutti, anziché essere simboli di collegamento, sono opere di separazione.
Il tour parte da ponte Cavour, nel cuore di Roma, a 500 metri dall'eden dello shopping in via del Corso. Ventisei scale per passare dal caos urbano al silenzio della solitudine. A pochi metri di distanza un piccolo sentiero in terra battuta conduce ad una sponda rialzata diventata la casa di quattro persone. Coperte da alberi e cespugli, tra alcuni rifiuti spuntano baracche costruite con mezzi di fortuna. Chi le abita non c'è, è probabilmente risalito nell'altro mondo per fare elemosina. Lamiere come tetto, una transenna come parete e vari teloni a completare i capanni; dentro si vedono ammucchiati vestiti e oggetti di scarso valore, fuori la carcassa di un pc è stata usata come fornello e una sedia bucata è un gabinetto. È il primo contatto col mondo di sotto, prima di continuare la traversata sul lungofiume. Il successivo è ponte Umberto I, a due passi da un Castel Sant'Angelo affollatissimo di turisti; qui, proprio sotto la Corte di Cassazione, si presenta uno spettacolo rivoltante: aghi appena usati lasciati sulla battigia, centinaia di confezioni di siringhe sparse a terra, carta impregnata di sangue ovunque. Questo è anche il regno dei tossicodipendenti, che si bucano alla luce del sole incuranti dei passanti. Ancora una volta gli estremi: il simbolo della giustizia sopra, l'illegalità beffarda appena sotto. Una coppia di turisti attraversa la piccola discarica della droga senza troppa sorpresa ma con la paura di dove mettere i piedi. Riescono ad uscirne incolumi e proseguono la passeggiata per scattare fotografie suggestive con San Pietro sullo sfondo.
Poche centinaia di metri per arrivare sotto ponte Vittorio Emanuele II, che al piano superiore conduce a Città del Vaticano da una parte e a Campo de' Fiori dall'altra. Protetto dal ponte, un uomo dorme tra decine di vestiti e un paio di batterie di motorini. Non ha altro che coperte e buste di plastica appese a dei chiodi. Passanti e podisti lo osservano, fino a quando si sveglia mostrando gli occhi lucidi e la lunga barba. In cambio di una foto chiede timidamente qualche centesimo, poi torna a dormire. A ponte Mazzini, invece, si è più organizzati: una capanna, un cucinino, abiti stesi al sole e un ammasso di oggetti indecifrabili. Lo spazio occupato quasi impedisce di camminare alle centinaia di turisti che scendono di venti metri per vedere l'opera artistica di William Kentridge che racconta la «biografia» di Roma. Una processione di silhouettes lunga 500 metri tra ponte Mazzini e ponte Sisto, a pochi metri da Trastevere, fa da sfondo ad un'altra baracca, abitata da una signora che usa il Tevere come scarico personale. Quando vede avvicinarmi urla solo: «Via! Questa è casa mia!». E sembra avere una certa sicurezza. Più a Sud della città, non lontano dalla fermata metro «Piramide», sorge ponte dell'Industria; qui lo spettacolo è ancora più inquietante: non si può accedere alla banchina del Tevere perché l'accesso è bloccato da una cancellata rudimentale, oltre la quale c'è un casotto abitato, con mobili e alcune sedie in una sorta di giardino vista fiume.
Seguendo il corso del fiume lontano dal centro, poi, il disagio sotterraneo diventa ancora più evidente: a Roma Nord, in zona Tor di Quinto, si fa jogging sfiorando discariche e bidonville di rom storicamente stanziati vicino il fiume, così come al viadotto dei Presidenti, non lontano dal fiume; un'area per il tempo libero costruita con soldi pubblici nel 2014 ora è un ritrovo per senzatetto e indigenti. Il Tevere è così: croce e delizia, rappresenta «trionfi e lamenti», proprio come il titolo dell'opera unica al mondo di Kentridge, immersa tra degrado ed esclusione sociale.
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