Emilia, allarme rosso Pd tra inchieste e astensionismo

I Dem temono il crollo dell'affluenza. L'ultima tegola: si sospende l'ex capogruppo. Intanto Lega e Forza Italia insieme avanzano

Emilia, allarme rosso Pd tra inchieste e astensionismo

Bologn - aVive in camper da due settimane scorrazzando lungo la via Emilia. Mangia caldarroste e beve vin brulè ai mercati mentre gli antagonisti di Bologna e Reggio lo aspettano per dargli delle sprangate. C'è un altro Matteo che impensierisce la sinistra. Con la candidatura alla presidenza di un suo uomo, Alan Fabbri, in coalizione con Forza Italia, che gli ha ceduto sovranità, la Lega di Matteo Salvini si gioca domenica alle elezioni regionali la possibilità del sorpasso non solo sugli azzurri. Ma anche sui grillini, veri e propri osservati speciali a rischio calo di una consultazione che sta passando in tono minore. Un po' per il periodo, un po' perché la gente è stanca e un po' perché l'inchiesta sulle spese pazze ha definitivamente fiaccato anche la tempra degli elettori rossi e non è un caso che il Pd abbia messo un campo tutto quello che resta della base per arruolare volontari.

Gli ultimi sondaggi top secret danno il Carroccio in doppia cifra davanti anche a Forza Italia. C'è chi si spinge a azzardare per la Lega persino un 15%. Tanto, anche se a mettere in difficoltà il Pd è un'affluenza che si annuncia sostanzialmente dimezzata. Prima il caso sex toy, con il consigliere che ha ammesso di aver acquistato il gioco erotico per scherzo, scagionando la consigliera Rita Moriconi, che si è dimesso dal consiglio comunale dove sedeva in quota Pd perdendo anche il lavoro. Appena il tempo di metabolizzare lo scontrino per il vibratore da 80 euro che il Pd ha dovuto incassare anche la reprimenda del sindacato dei giornalisti. Motivo? Le improvvide dichiarazioni di Marco Monari, ex capogruppo Dem e primo tra gli indagati per peculato con oltre 900mila euro di rimborsi sospetti attribuiti al suo gruppo. In una riunione del settembre 2012, con la procura a caccia di ricevute nei cassetti, aveva definito i giornalisti assiepati in viale Aldo Moro come «teste di min...» e la Gabanelli con epiteti irriferibili. Monari si è scusato, poi, ieri si è autosospeso dal Pd. Decisione che cela lo stile del partitone rosso di scaricare sui capri espiatori caduti in disgrazia. Tutto questo, con in corso gli interrogatori della Procura, che dà la precedenza agli ex consiglieri ricandidati, ha provocato il terrore che il rischio astensionismo sia il vero protagonista del voto. Lo teme anche il candidato favorito, quello Stefano Bonaccini che ieri ha ammesso come il macigno dell'inchiesta pesa e peserà sull'affluenza. Ma che queste siano le elezioni più a rischio non lo dice solo il successo della Lega che in questi giorni sta riempiendo diverse piazze rosse (domenica a Reggio Emilia, i «vai Matteo!» non potevano certo essere tutti del Carroccio) e nemmeno la spada di Damocle dell'inchiesta.

Lo sospetta velenosamente anche Matteo Richetti, il rivale di Bonaccini, che si era ritirato dalla corsa perché indagato. Il renziano si è vendicato a sei giorni da voto dicendo in un'intervista a Repubblica che la gente non andrà a votare «forse perché è mancato un progetto». Una stilettata sulle ambizioni di Bonaccini di vincere facile.

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