«Segnale di chiamata Air Force One»: una procedura operativa di routine, un nome tecnico, persino troppo concreto, per un aereo che vola nell'immaginazione. Così è nato, anonimo, il nome dell'aereo più famoso del mondo. Non si è sempre chiamato così: quello di Roosevelt, il C-54 Skymaster che lo portò a Yalta a ridisegnare le frontiere e i destini del mondo, era soprannominato «Vacca sacra», quello di Eisenhower, un Lockheed L-749 Constellation, «Columbine» dal nome di un fiore del Colorado, dov'era nata la moglie Mamie. Un po' come averla sempre con lui. L'Air Force One non è una aereo qualsiasi e non solo perchè può resistere alle radiazioni nucleari ed è più sicuro di un bunker, ma perchè vola sulle ali della fantasia, è una suggestione hollywoodiana, l'aquila americana che veglia silenziosa sulla vita del pianeta. E non è nemmeno uno ma due gemelli: matricola 28000 e 29000 e comunque per prassi qualsiasi aereo militare che abbia a bordo il Presidente degli Stati Uniti. Costo cadauno: 240 milioni di dollari. Adesso però lo rottamano e non è la prima volta.
Andò in pensione dopo quasi trent'anni di servizio, 444 missioni e oltre un milione di chilometri il Boeing 707-353B, numero di coda 27000, che riportò a casa, in California, Nixon dopo il Watergate e Reagan a Berlino per dire al signor Gorbaciov «butti giù questo muro». L'ultimo viaggio, trentasei minuti di volo appena, fu con Bush figlio da San Antonio a Waco poi la Casa Bianca volante trovò parcheggio per sempre a Simi Valley, accanto alla biblioteca presidenziale dedicata a Reagan. Ad attenderlo nell'hangar, come un figlio ritrovato, il pilota di Nixon Ralph Albertazzi, il pilota di Reagan Bob Ruddick e il pilota di Bush padre Joe Chappell. «Questo aereo non trasporterà più presidenti - lo salutò Bush jr per l'ultima volta - ma lo spirito della democrazia americana».
Ma prima del 27000 aveva lasciato il servizio, dopo 35 anni di lacrime e sorrisi, il 26000, il più celebre degli Air Force One, l'aereo più amato della flotta presidenziale. Aveva riportato a casa Kennedy da Dallas, accompagnato Nixon in Cina, scortato Johnson in Vietnam, guidato Kissinger di nascosto a Parigi. Un giramondo senza confini. Cominciò a volare un anno prima di Dallas, nel giugno 1963 arrivò a Berlino con Kennedy per il suo « Ich bin ein Berliner » davanti al Muro, cinque mesi dopo lo accompagnò all'appuntamento con la morte. «Eravamo sulla pista quando arrivò la notizia che avevano sparato al presidente - racconta il sergente Stan Goodwin - Poco dopo ci dissero che dovevamo riportare Kennedy a Washington in una bara». Non c'era posto sull'Air Force One per una bara «e non potevamo trasportare il corpo del presidente nel compartimento cargo». Così l'equipaggio cominciò freneticamente a smontare i sedili per i passeggeri. Fu lì che Johnson giurò da presidente, Jacqueline Kennedy al suo fianco, con il vestito sporco di sangue. «Se la Storia avesse le ali, si trasformerebbe in questo aereo» lo congedò Al Gore. Pensare che era stato propro Jfk a scegliere l'abito dell'Air Force One, il colore bianco e celeste, la scritta «United States of America» lungo la fusoliera ed i due stemmi presidenziali sotto la cabina di pilotaggio, diventati poi il simbolo di tutti gli aerei a venire. Una volta sfiorò la collisione in volo con un aereo di linea, un'altra il comico. Ai funerali del presidente egiziano Sadat c'erano a bordo Nixon, Ford e Carter: «Ad un certo punto - racconta uno dei menbri dell'equipaggio - vidi tutti e tre i presidenti e Kissinger tutti in fila per andare al bagno...».
La fortezza dei cieli viene smantellata e ispezionata ogni 154 giorni ma ora tocca al Boeing 747-200B lasciare la scena, il Pentagono li vuole sostituire con dei nuovissimi 747-8. Ma l'Air Force One è come 007, cambia attori ma resta sempre Bond. E il futuro non muore mai.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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