«Ergastolo per Bossetti» E lui: «La faccio finita»

Dopo due udienze per la requisitoria l'accusa chiede il massimo della pena

Andrea Acquarone

Come si intuiva, così è stato. Ergastolo.

La requisitoria «infinita» della pm Letizia Ruggeri- due interi giorni per raccontare quanto Massimo Bossetti sia falso, cattivo e colpevole- non avrebbe potuto finire diversamente: per lui fine pena mai, con aggiunta dell'isolamento per i primi sei mesi. Ecco la richiesta dell'accusa per il presunto mostro, l'uomo che cinque anni d'indagine indicano come l'assassino di Yara Gambirasio.

Mentre il muratore di Mapello assiste impietrito e impotente alle agghiaccianti ricostruzioni che sembrerebbero non dargli scampo; alla montagna di indizi, pur se talvolta corroborati più da suggestioni che da fatti, che lo dipingono come un bugiardo «seriale», un traditore infame e un maniaco pericoloso, fuori va in onda pure il processo mediatico. Telecamere sul tribunale di Bergamo e salottieri televisivi a frugare, discettare su sempre più morbosi, sordidi, particolari di questo reality noir. Dopo le lettere più erotiche che amorose spedite dalla «sua prigione» a un'altra detenuta, ora si svela in diretta anche una sua recentissima missiva spedita a mamma e sorella. Quasi un epitaffio. «Ho sbagliato tutto nella mia esistenza e ora rimedierò con la mia vita», il passaggio svelato a «La vita in diretta» su Rai 1. «Che vada come vada fino a sentenza, e poi deciderò una volta per tutte... Comunque, in un modo o nell'altro da qui me ne vado», ha scritto Bossetti. Già in passato avrebbe confidato a qualche compagno di cella di volersi togliere la vita.

Dietro il volto di nuovo abbronzato dalle passeggiate primaverili nel cortile del carcere, si celerebbe, dunque, un uomo comunque già «morto». A prescindere.

«So che la farò finita qui dentro, perché non posso accettare tutto quello che ho combinato a Marita e me lo merito davvero per quello che ho fatto», si legge in un altro stralcio. Non una confessione. Solo, pura e semplice, disperazione. In aula, intanto, la pm Ruggeri, rievocava passaggio dopo passaggio postulati e assiomi del teorema accusatorio. Tasselli di un mosaico frutto dell'indagine più costosa del mondo. «Massimo Bossetti è l'autore dell'omicidio di Yara. Non è un colpevole a tutti i costi, ma è l'uomo che ha colpito più volte l'adolescente prima di lasciarla agonizzante nel campo di Chignolo d'Isola. A inchiodarlo è il suo Dna, il cui risultato non può essere messo in crisi», aveva detto settimana scorsa. Ieri ha ricordato il prologo, ovvero come e dove- almeno stando alla ricostruzione investigativa- tutto sarebbe cominciato. Il destino della tredicenne e quello del carpentiere dagli occhi glauchi si sarebbe compiuto la sera del 26 novembre 2010 a pochi passi dall'abitazione dell'adolescente. Non fuori della palestra come si è sempre pensato. Tabulati telefonici alla mano e ricostruzioni video, Ruggeri ha ricostruito i passaggi dell'uomo quel tardo pomeriggio di novembre 2010. Passato e ripassato con il suo furgone tra i centro sportivo di Brembate e la casa dei Gambirasio «ha fatalmente incontrato la bambina. Evidentemente -spiegava la pm- l'incontro che è avvenuto in via Morlotti o all'inizio di via Rampinelli», la stessa strada in cui vivono ancora oggi la famiglia della vittima.

Ma l'accusa rispetto all'incontro con Yara non va nel particolare: «Cosa sia successo lì non è possibile dirlo».

La prova regina alla fine è e resta una: la traccia genetica dell'imputato trovata sugli slip della giovane. A giugno la sentenza.

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