Carlo Calenda ci va giù pesante: non solo «immobilismo», «incompetenza» e «arroganza» in Campidoglio, ma anche «proposte a dir poco stravaganti e richieste assurde formulate anche sulla base di errori di aritmetica». Come i conti sbagliati sugli autobus: con 25 milioni se ne acquistano neppure 60, non 72 come dichiarato dal Comune.
Per non «sprecare tempo», il ministro dello Sviluppo vuole far saltare il tavolo per Roma, che avrebbe portato alla capitale 3 miliardi, ma si scontra con la mancanza di progetti dell'amministrazione di Virginia Raggi, targata M5s. «Ritardi e inadempienze», scrive Calenda al vertice del Campidoglio, non giustificabili, qualcosa di «mai sperimentato». Stanziamenti di Stato e Regione Lazio sono a disposizione per il primo miliardo, ma la sindaca è latitante e con lei tutta la macchina amministrativa. «Rimangono solo - spiega - 19 progetti operativi, per risorse identificate di 1.256 milioni di euro. Tutti presentati dal ministero e dalla Regione».
Lei, la sindaca, replica su Facebook che quello di Calenda è «un bluff pre-elettorale», accusa l'esecutivo, azzarda che il fondi «sembrano non esistere», dice che il tavolo lo manderà avanti da sola. «Mi stupisce - ironizza - che a due settimane dal voto si torna a parlare di un miliardo per Roma dopo cinque anni in cui il governo ha dimenticato la Capitale. Se questo miliardo fosse vero lo avremmo inserito in bilancio ma lì non posso inserire né promesse né parole».
Ma la voragine della Balduina sembra inghiottire simbolicamente la Raggi, diventa l'emblema della paralisi del Comune. Perché, raccontano i dirigenti in Campidoglio, un po' s'identifica con il «buco Marra», lasciato dal fedelissimo Raffaele, travolto dalle inchieste e in carcere da dicembre 2016. «L'indispensabile», come veniva definito nella chat del «raggio magico», per la sua disinvolta capacità di destreggiarsi nella macchina comunale, non è stato sostituito da uno staff all'altezza e lei si fida solo di pochissimi, esterni come il delegato per il personale e i rapporti sindacali De Sanctis e il portavoce Fulgione. Non c'è un capo di gabinetto, da Genova sono venuti direttore e segretario generale e c'è sempre qualche assessore in bilico, come Linda Meleo (Trasporti) e Adriano Meloni (Commercio).
Per forza di cose, la Raggi ha dovuto azzerare la macroscruttura ideata dall'ex capo del personale Marra e ad ottobre ha presentato la procedura di interpello per scelte «sul merito». Erano attese per il mese dopo, invece nulla è più successo. Il sistema si è cristallizzato, con i dirigenti deresponsabilizzati per l'incertezza di annunciati spostamenti e posti vacanti chiave per pensionamenti: da due mesi mancano i vertici di Risorse economiche, Scuola, Progetti europei.
Ai superdirigenti vacanti, grazie ad una circolare per alcuni illegittima, sono subentrati quelli di fascia inferiore, che certo evitano scelte difficili. Così, per dirne una, mentre cadono alberi su auto e persone, da un anno e mezzo non si fa una gara d'appalto per la manutenzione. Qualcuno direbbe: è la Raggi, bellezza!
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