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Eurocrisi, dazi e futuro incerto I giorni più bui dell'Unione

L'instabilità a Madrid, la svolta anti-Bruxelles di Roma e la «guerra» tra Merkel e Macron. Trump ne approfitta...

Eurocrisi, dazi e futuro incerto I giorni più bui dell'Unione

P er un governo che arriva, uno se ne va. Ma per l'Unione Europea non è un pareggio bensì una batosta. All'insediamento a Roma del primo esecutivo euroscettico alla testa di un paese «fondatore» s'aggiunge la caduta di quel Mariano Rajoy difeso a spada tratta da Bruxelles durante la tentata secessione della Catalonia. Una batosta indigeribile visto che la mozione di sfiducia «costruttiva» dei socialisti di Pedro Sanchez è passata proprio grazie ai voti di quei partiti indipendentisti di Catalonia messi all'indice dalla Ue. E il secco due a zero arriva in contemporanea con la mazzata dei dazi su alluminio e acciaio infertaci dall'America di Donald Trump.

In questo grigio panorama, reso ancora più cupo dal concretizzarsi della Brexit, l'Unione Europea appare come un gigante malato, confuso e spaesato. Un gigante alla mercé di amici e nemici. La virata euroscettica di Roma, la caduta di Madrid, l'addio di Londra e la guerra dei dazi dichiarataci dall'America sono solo i sintomi più evidenti dei mali profondi dell'Unione. Il principale resta l'assoluta mancanza d'una guida politica. Il governo europeo, ovvero la Commissione di Jean-Claude Juncker, resta un ectoplasma eterodiretto da Berlino e Parigi. Ma il presidente Emmanuel Macron e la Cancelliera Angela Merkel sono da mesi i protagonisti di uno scontro sotterraneo in cui le barricate erette da Berlino per proteggere i principi di un'algida austerità economica traballano sotto i colpi di un Macron pronto a chiedere la creazione di un bilancio europeo e di un ministro delle finanze unico. E cosi mentre l'Italia, terza potenza europea, s'arrabattava alla ricerca di un governo, la Spagna brigava per autodistruggerselo e Francia e Germania consumavano le energie in lotte intestine. L'Europa è diventata terreno di conquista.

Il primo ad avvantaggiarsene è Trump. Dopo aver stracciato un accordo sul nucleare iraniano, economicamente inutile per l'America, ma vitale per un'Europa affamata di energia e mercati, non esita ora a metterci in ginocchio con i dazi. Dazi che invece risparmiano una Cina trasformatasi nel primo produttore mondiale di acciaio. Lo fa perché animato da sentimenti antieuropei? Non proprio. Da consumato e rapace imprenditore, poco incline alle sottigliezze politiche, Trump vede nell'Europa un'azienda priva di una solida guida e quindi facilmente scalabile. In questa logica la guerra all'acciaio cinese gli appare complessa e costosa mentre, invece, reputa facile e indolore aggredire un'Europa paralizzata dalle crisi dei singoli stati, dallo scontro tra Germania e Francia e dall'assenza, a Bruxelles, di un governo degno di quel nome.

Ma le mosse di Trump e la nostra vulnerabilità sono anche il risultato della passiva sudditanza con cui l'Europa ha seguito il tracciato dettatogli dall'America di Obama. Assecondare Washington nella contrapposizione alla Russia e nella difesa dell'Ucraina era - seppur contrario agli interessi europei - rassicurante e conveniente. Soprattutto per chi a Berlino se ne avvantaggiava per mantenere l'egemonia economica e non concedere nulla a Washington sul terreno degli scambi commerciali. Ora il primo a non far sconti alla Germania è l'America di Trump.

E i primi a farne le spese siamo noi europei.

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