Milano - La passione per la dolce vita l'ha sempre avuta: fin da quando era un picciotto di 'ndrangheta giù in Calabria, e soprattutto quando al nord aveva impiantato un impero di locali pubblici all'ombra della Madonnina, finanziati con i soldi del narcotraffico, altro grande amore. A queste passioni Rocco Morabito ne ha sempre accompagnata un'altra, ed è probabilmente questa che ieri mattina gli consente di riconquistare la libertà: quella per i contatti «giusti», i legami sotterranei con gli uomini della economia pulita e delle istituzioni. I soldi, ha sempre pensato Rocco, aprono molte porte.
E ieri sono i soldi, c'è da giurarlo, ad aprirgli le porte più pesanti di tutte: le sbarre del Carcere centrale di Montevideo, dove era stato chiuso nel settembre 2017 dopo una latitanza durata ventitre anni. Il mandato di cattura internazionale che lo inseguiva per le condanne ricevute dai tribunali di Milano e di Reggio Calabria, era stato eseguito grazie a una missione congiunta, e l'esilio dorato di Morabito nella sua villa di Punta de l'Este era bruscamente finito.
«Aspettiamo a festeggiare», disse quel giorno uno degli investigatori milanesi che gli aveva dato la caccia sotto la guida del pm Laura Barbaini. Che lo aveva visto muoversi tra le banche di Lugano e della Riviera; assorbire senza scomporsi il sequestro di seicento chili di coca a Fortaleza sulla barca del suo compare, un libanese con passaporto diplomatico; che lo aveva visto consegnare a ripetizione valigie con miliardi di lire a un fornitore sudamericano in piazza San Babila. Una di quelle valigette fu sequestrata: le banconote erano ghiacciate. Venivano direttamente dalle celle frigorifere dell'Ortomercato di Milano, dove Morabito aveva uno dei suoi punti di forza.
«Aspettiamo a festeggiare - disse l'investigatore - perché averlo qua non sarà facile». E così è stato. Per un anno, Rocco ha fatto il detenuto modello, nel carcere per Vip, all'interno della prefettura di polizia. Ha presentato ricorso contro l'estradizione in Italia e l'ha perso. Ha fatto appello, e ha riperso. Ha presentato ricorso alla Corte suprema: il verdetto era imminente, e con esso l'imbarco su un aereo destinazione Roma.
Non ha aspettato l'udienza. Ieri evade con modalità inverosimili, spaccando il muro che separa il carcere da un edificio confinante, derubando l'inquilina e sparendo nel nulla. Con lui ci sono altri tre detenuti in attesa di estradizione: due falsari ricercati dal Brasile, un assassino richiesto dall'Argentina. Almeno due del gruppetto dovevano stare in massima sicurezza. Tutti e quattro avevano mezzi a sufficienza per comprarsi la strada verso la libertà.
In Uruguay la notizia desta
scandalo, il ministero degli Interni annuncia un numero verde per aiutare le ricerche; dall'Italia il ministro Salvini chiede chiarimenti. Rocco intanto è in fuga, lungo una rotta preparata da tempo, forse verso il Paraguay.
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