Taranto - L'Altoforno 2 di ArcelorMttal deve essere spento. Lo ha deciso la Procura di Taranto, che ha già fatto notificare il decreto ai nuovi proprietari di quella che un tempo era la più grande fabbrica d'acciaio d'Europa. E così, mentre a Roma si tratta e si tenta di salvare il salvabile cercando di riannodare i fili di una trattativa che possa indurre l'azienda a non smobilitare dopo la mancata concessione dell'immunità, dalla Puglia arriva una nuova tegola giudiziaria.
Il decreto è stato firmato dal sostituto procuratore Antonella De Luca. Il provvedimento è la conseguenza della decisione con la quale il gup Pompeo Carriere ha respinto l'istanza di dissequestro avanzata dagli amministratori dell'ex Ilva. I sigilli erano scattati nell'ambito di un'inchiesta avviata per la morte sul lavoro di Alessandro Morricella, operaio di 35 anni che nel giugno 2015 fu travolto da una colata incandescente. All'epoca il governo intervenne con alcuni provvedimenti legislativi in modo che venisse concessa la facoltà d'uso dell'altoforno 2 (uno dei tre rimasti in attività). Tuttavia, dopo il via libera, erano state disposte dalla magistratura diverse prescrizioni ritenute necessarie per mettere in sicurezza l'impianto. Ma, secondo quanto accertato dai tecnici nominati dal gup, non tutti gli interventi sono stati eseguiti. Risultato: è tornato in vigore il provvedimento di sequestro. Che non implica uno stop immediato dell'altoforno, ma traccia comunque una strada ben precisa: il pm inquirente ha infatti affidato al custode giudiziario, Barbara Valenzano, la definizione di un cronoprogramma per lo spegnimento. Insomma, lo scenario non è rassicurante per la continuità produttiva della fabbrica, anche se non sono da escludere ulteriori novità che potrebbero rappresentare dare speranza agli operai: è possibile che ArcelorMittal e i commissari trovino un accordo per attuare gli adempimenti necessari e rivolgere una nuova istanza alla magistratura.
La notizia proveniente da Taranto è subito rimbalzata a Roma. Dove il ministro dello Sviluppo, Luigi Di Maio, ha partecipato al vertice con azienda e sindacati per fare il punto della situazione dopo il via libera alla cassa integrazione per 1.395 dipendenti. La riunione è stata rinviata. L'accordo, in ogni caso, sembra lontano. Tanto più che il vicepremier ribadisce il no all'immunità penale per gli amministratori della fabbrica. «Voglio essere ben chiaro, non esiste alcuna possibilità che torni», taglia corto il leader pentastellato, sgombrando il campo da un possibile ripensamento che possa scongiurare il rischio di una smobilitazione. «In questi mesi ha dichiarato il ministro ho sempre detto ad ArcelorMittal che la dirigenza dell'azienda non ha nulla da temere dal punto di vista legale se dimostra buona fede continuando nell'attuazione del piano ambientale».
Ma se da un lato il vicepremier sembra lasciare uno spiraglio, dall'altro è chiusura totale. «Nessuna persona di questo Paese ha affermato potrà mai godere di una immunità per responsabilità di morti sul lavoro o disastri ambientali».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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