Faccia a faccia tra i signori dei muri: Orban da Trump tra le polemiche

Bush e Obama si erano rifiutati di ospitare il premier ungherese accusato di una svolta autoritaria in patria. Bufera sul tycoon

Faccia a faccia tra i signori dei muri: Orban da Trump tra le polemiche

New York - America First incontra Hungary First. Il presidente Donald Trump ancora una volta rompe gli schemi e riceve il premier anti-immigrati Viktor Orban nello Studio Ovale. Sia George W. Bush che Barack Obama si erano rifiutati di ospitarlo, ed era dal 2005 che un leader ungherese non metteva piede alla Casa Bianca. Orban, invece, al 1600 di Pennsylvania Avenue c'era già stato per incontrare l'allora Commander in Chief Bill Clinton nel 1998, quando era un giovane centrista che lodava il presidente americano perché aiutava l'Ungheria a sfuggire all'influenza russa entrando nella Nato. Mentre oggi è un nazionalista ostile all'Ue e alle istituzioni internazionali, ma è anche un grande ammiratore e sostenitore di Trump, tanto da averne emulato lo slogan con Hungary First. È «tosto e rispettato» e «ha fatto la cosa giusta sull'immigrazione», afferma Trump, precisando che ha fatto un buon lavoro per «mantenere il suo paese sicuro». Forse è un po' «controverso», continua, ma va bene così, abbiamo «molte cose da discutere». «Parleremo di come rafforzare la nostra alleanza strategica e di questioni politiche globali perché abbiamo un approccio simile», chiosa Orban, ribadendo: «Siamo con gli Stati Uniti nella lotta contro l'immigrazione illegale, il terrorismo e le minacce alle comunità cristiane». Sul tavolo, una serie di temi tra cui commercio, energia, cybersicurezza e la Nato. E in gioco ci sono importanti interessi strategici americani: dalle forniture di armi Usa alla crescente influenza russa e cinese in Ungheria e nell'Europa centrale, sino alla cooperazione nella difesa tra i due paesi e nell'Alleanza Atlantica.

I detrattori del tycoon ritengono l'arrivo del premier come emblematico della sua preferenza per i leader forti che cercano di minare l'ordine liberale internazionale. E la visita, che offre una tribuna a Orban a meno di due settimane dalle elezioni europee, ha già sollevato proteste negli Usa. Sia da parte dei difensori dei diritti umani che il primo ministro è accusato di calpestare, sia da parte dei democratici, che in una lettera avevano chiesto a Trump di non riceverlo sino a che non avrà «riportato il suo paese sulla strada della democrazia». Pure qualche senatore repubblicano ha esortato The Donald a sollevare nell'incontro la questione dell'«erosione» della democrazia in Ungheria. Robert G. Berschinski di Human Rights First e Hal Brands, docente alla Johns Hopkins University, hanno scritto sul Washington Post che «questa visita è un grave errore, non solo perché sarà vista come l'endorsement a un leader che ha smantellato con successo la democrazia, ma anche perché segnalerà l'affermazione di un'agenda che minaccia la sicurezza transatlantica».

Ma c'è anche chi ritiene che la questione sia più complessa, visto che Orban ha dovuto faticare due anni e mezzo per essere invitato da Trump, ultimo tra i leader europei, dopo essere stato il primo leader straniero a dargli il suo endorsement nel 2016.

Come ha spiegato Andras Simonyi, ex ambasciatore ungherese negli Stati Uniti e alla Nato, ora accademico a Washington, l'incontro «è stato molto più difficile da ottenere per Orban di quanto la gente pensi»: «Questa idea dell'unione tra lui e Trump è un'assurdità». L'ex stratega della Casa Bianca Steve Bannon ha sottolineato che in ogni caso la visita «aumenta chiaramente il profilo» del premier ungherese.

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