Milano - Come butta, dottore? «Malissimo. C'è un intero pezzo completamente fuori controllo». Alle 14,10 di venerdì scorso, quando in corso di Porta Ticinese il corteo della May Day Parade doveva ancora iniziare a muoversi, il breve dialogo con il vecchio poliziotto, uno con cento cortei nelle suole delle scarpe, era sufficiente per prepararsi al peggio. Il peggio è puntualmente arrivato. Il «pezzo fuori controllo» ha devastato Milano. E per raccontare come sia stato possibile è necessario spezzare il racconto in due: il prima, e il durante. Dove il «prima» è quello che doveva essere fatto (e non lo è stato) nei mesi e nelle settimane precedenti, quando il tam tam dell'antagonismo internazionale ha iniziato a preparare l'assalto a Milano; e il «durante» è invece la strategia militare messa in campo dai vertici della polizia, d'intesa col Viminale e Palazzo Chigi, e che ha permesso di «limitare i danni», come con espressione un po' infelice, se si guarda alle immagini agghiaccianti dell'assalto dei black bloc, dicono adesso a Roma. Si poteva fare di più? Sì. Ma a costo di andare allo scontro fisico con gli incappucciati. Se ne potevano arrestare a centinaia, si poteva dare loro una lezione memorabile. Ma sarebbe stata una battaglia i cui effetti avrebbero attraversato tutti i sei mesi di Expo. Per questo è stato scelto di non chiudere il cerchio.
Lo si è visto in modo palpabile, osservando i movimenti delle forze dell'ordine. Per quasi venti minuti, carabinieri e polizia assistono senza reagire non solo alle imprese vandaliche degli incappucciati, ma anche agli attacchi diretti: il primo, il più violento, in corso Magenta, e poi quelli successivi. Ai sassi, si risponde solo con i lacrimogeni. I comandanti non danno mai l'ordine di caricare. Eppure dietro ai reparti in prima fila ci sono, appostati nelle vie del centro, altri blindati e centinaia di uomini pronti a dare man forte. Ma l'ordine della carica non arriva. Si aspetta che, di devastazione in devastazione, il gruppo dei violenti superi piazzale Cadorna. Solo a quel punto Celere e Battaglione Mobile si muovono. L'obiettivo è chiaro: tagliare in due il corteo, isolare i black bloc, impedire che si possano proteggere dietro i settori pacifici della manifestazione. L'operazione riesce. Per chiudere la morsa, bisogna però ripetere l'intervento alla estremità opposta, per impedire che lo spezzone violento si ricongiunga con la testa del corteo. A quel punto, i teppisti sarebbero in trappola. Dal punto di vista militare, dello scontro fisico, non ci sarebbe partita: ma l'ordine non viene dato. In via Guido d'Arezzo, i black bloc riescono così a spogliarsi di armi e travestimenti: di fatto si arrendono, perché da quel momento in poi non possono più fare nulla, ma gli viene garantita la via di fuga.
Giusto, sbagliato? Se ne potrebbe discutere all'infinito, ma il racconto del «durante» si ferma qui. La realpolitik ha portato a una decisione: non inauguriamo l'Expo con immagini di teste rotte che chiameranno inevitabilmente altra violenza. Il problema vero è il «prima», quello che non è stato fatto, e che già prima del corteo portava il vecchio poliziotto a parlare di settori «fuori controllo».
Ed è la catastrofe dell'intelligence, che non solo non è riuscita a piazzare un infiltrato, ma nemmeno a raccogliere dai servizi segreti stranieri (che hanno anche funzioni di polizia, e conoscono uno per uno i violenti di casa loro) le indicazioni necessarie a prevenire la calata dei barbari.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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