Farmacia non fa più rima con gioielleria. Non è più un negozio che procura guadagni assicurati. Tanto che in Tribunale figura sempre di più nell'elenco delle piccole aziende fallite.
In questi giorni a Milano sono quasi la metà del totale, ma nei mesi scorsi non è andata meglio. Venticinque farmacie, nella città più ricca d'Italia, una dopo l'altra hanno portato i libri in tribunale, chiedendo il concordato preventivo per evitare la bancarotta. Si sono arrese, insomma. Al punto da chiedersi che cosa succede nell'ex mondo dorato di un business senza rischi. Lo abbiamo chiesto ad Andrea Mandelli, presidente della Federazione Ordini farmacisti italiani, che non si sorprende del dato milanese, anzi, dipinge un futuro ancora meno roseo: «Quel paese di Bengodi che è sempre stato la farmacia fa parte di un passato che non tornerà più».
E cosa ci aspetta in futuro?
«Nuove rivendite sempre più vicine una all'altra. È il prodotto del governo Monti che ha abbassato il quorum di una farmacia da 5000 a 3300 abitanti. Una scelta in controtendenza rispetto a quanto avviene negli altri paesi europei».
Ma già adesso, senza la novità del decreto Monti, le farmacie falliscono.
«E non mi stupisce perché ci sono diversi motivi che le affossano, primo tra tutti l'introduzione dei generici».
D'accordo ma la gente è contenta di risparmiare a parità di principio attivo.
«Nessuno lo mette in dubbio. Il cliente risparmia, ma soprattutto risparmia lo Stato. I prezzi però, sono molto più bassi e noi farmacisti siamo pagati a percentuale, cioè abbiamo diritto al 25% del prezzo al pubblico».
Che non è così poco.
«Ma non basta certo a coprire i costi fissi. Il nostro personale è laureato e parte da uno stipendio base di 1500 euro. Inoltre c'è il costo degli affitti e tante altre spese: non c'è una malattia sola che fa morire il paziente. Un aiuto potremmo ottenerlo con i prodotti innovativi. Ora vengono distribuiti dall'ospedale o comprati dalla Asl ma solo dispensati dal farmacista che non guadagna quasi nulla».
Ma non sarà solo colpa dei generici...
«Certo che no. Dove la mettiamo la crisi economica? La gente non si cura più. Ormai la povertà sanitaria è una realtà cronica: 4,6 milioni di italiani hanno difficoltà a pagare il ticket. La mancanza di risorse penalizza la salute, a cui si dedica in media solo il 4,4% del reddito. E tra la gente meno abbiente la percentuale si riduce al 2,6%».
Quanto vi danneggiano le parafarmacie?
«Anche quelle sono delle spine del fianco. Soprattutto perché vendono anche farmaci».
Anche le farmacie vendono cosmetici e integratori.
«Infatti ormai il negozio zeppo di alambicchi fa parte del passato. Per restare competitivi bisogna aggiornarsi offrendo molti servizi di qualità. Anche i cosmetici, per esempio, sono apprezzati dalla clientela perché sono prodotti affidabili venduti a prezzi accessibili».
Che tipo di servizi può offrire oggi una farmacia?
«Dal fisioterapista all'infermiere, ma soprattutto esami del sangue immediati. Inoltre si potrebbe fare un salto di qualità ottimizzando le cure dei pazienti».
Perché, non si curano già con i farmaci che acquistano?
«Secondo uno studio internazionale, oltre il 50% dei clienti non assume correttamente i farmaci. Il farmacista potrebbe controllare l'adesione alla terapia e questo servizio sarebbe molto utilr. Per esempio, è stato provato che l'intervento del farmacista sui soggetti asmatici può generare un risparmio da 87 a 297 euro l'anno».
Oltre ai farmaci cosa chiede la gente che entra in farmacia?
«Tutto quello che aiuta a tenersi in forma, a non invecchiare male, a stare, insomma, super-bene».
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