Le loro famiglie «hanno dato prova di incapacità a controllare ed educare i due giovani»: per questa ragione gli indagati devono rimanere in carcere e non possono essere posti ai domiciliari. E' quanto deciso dal gip del Tribunale di Taranto, Rita Romano, nei confronti dei ragazzi di 19 e 22 anni accusati di aver fatto parte della gang che ha torturato Antonio Stano, il pensionato di 66 anni morto il 23 aprile dopo 18 giorni di agonia a Manduria, poco più di trentamila abitanti, una quarantina di chilometri da Taranto.
Secondo il giudice va esclusa una misura cautelare più lieve «avendo gli indagati è scritto nel provvedimento restrittivo dimostrato notevole inclinazione alla consumazione dei reati, totale inaffidabilità e completa assenza di freni inibitori». Il gip sottolinea che non sussiste «misura diversa meno grave» che sia «idonea a garantire le esigenze di tutela della collettività» e spiega che i due «non offrono alcuna garanzia certa di rispetto degli obblighi di una misura cautelare meno afflittiva dovendosi pertanto fortemente limitare la loro libertà di movimento per impedire la ricaduta nel delitto». Insomma, il magistrato non ha convalidato i fermi in quanto non ha ritenuto non sussistente il pericolo di fuga, ma ha comunque condiviso in pieno il quadro accusatorio della Procura mettendo tra l'altro in evidenza il rischio della reiterazione del reato. In carcere sono finiti anche i sei minorenni coinvolti in questa storia scandita da vessazioni quotidiane. E pure in questo caso il gip, Paola Morelli, si sofferma sulle famiglie, precisando come non diano «garanzie di intervento contenitivo, educativo e di controllo».
Aggressioni in casa e per strada, insulti, sputi, minacce, incursioni nel cuore della notte, l'appartamento a soqquadro, le finestre in frantumi, la porta danneggiata: ecco l'orrore scatenato dalla gang contro un uomo mite, indifeso e sofferente di disagio psichico, un 66enne che dopo una vita di lavoro nell'Arsenale militare di Taranto non usciva più neanche per fare la spesa. «Sono solo, sono solo», gridava quando i banditi lo minacciavano e lo colpivano sghignazzando e filmando l'orrore. «Giravano in rete (su YouTube e sulle chat degli indagati e dei loro amici) filmati che riprendevano - scrive il gip Romano i maltrattamenti». Materiale che evidenzia il magistrato era divenuto «merce di scambio tra i diversi giovani che li ricevevano o vi si imbattevano in internet». «Non vi è dubbio aggiunge il giudice che nel caso in esame le condotte poste in essere dagli odierni indagati e dai loro coindagati minorenni» siano state «perpetrate in danno di un soggetto affetto da disabilità mentale che viveva in un evidente stato di abbandono, di disagio sociale e che, pertanto, versava in un chiaro stato di minorata difesa». Nel provvedimento cautelare non vengono usati mezzi termini: «Stano si precisa - è stato fatto oggetto di un trattamento inumano e degradante». Il magistrato spiega che il 66enne è stato «braccato dai suoi aguzzini, terrorizzato, dileggiato, insultato anche con sputi, spinto in uno stato di confusione e disorientamento, costretto a invocare aiuto per la paura e l'esasperazione di fronte ai continui attacchi subiti e, per di più, ripreso con dei filmati (poi diffusi in rete nelle chat telefoniche) in tali umilianti condizioni».
Le sevizie andavano avanti da anni, probabilmente dal 2012.
Ma per tutto questo tempo nessuno ha fiatato e il pensionato è rimasto intrappolato in una prigione di terrore e silenzio. Così è stato fino al 5 aprile, quando la polizia è intervenuta dopo un esposto ed è riuscita a entrare in casa: Stano è stato portato in ospedale, ma ormai era troppo tardi.
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