"Fanno cassa su noi commercialisti"

Miani critica split payment e Iva: inevitabile un software da mille euro

"Fanno cassa su noi commercialisti"

Roma Massimo Miani, presidente del Consiglio nazionale dei commercialisti, perché difendere le tariffe professionali?

«L'abolizione delle tariffe minime avvenuta negli scorsi anni è stata la tappa finale di uno scellerato processo politico che ha erroneamente individuato nelle professioni un freno alla modernizzazione. Ma quella scelta, possiamo oggi dire, ha avuto risultati tutt'altro che positivi. Il tema dell'equo compenso è per fortuna tornato di attualità. In questi anni si è preso atto che, a fronte di nostre nuove responsabilità, il contraente debole il più delle volte è proprio il professionista. È giunto il momento di tutelare la qualità delle prestazioni professionali, nell'interesse della collettività. Mi sembra che su questo tema la politica stia finalmente mostrando una nuova sensibilità».

A parte le tariffe, quali sono le principali preoccupazioni per i commercialisti oggi?

«I commercialisti patiscono un rapporto mal impostato con l'amministrazione finanziaria. Abbiamo contribuito negli anni alla costruzione del Fisco telematico più moderno al mondo e questa rivoluzione ha comportato per l'Italia una riduzione della spesa per le funzioni fiscali del 50,3%. Un risultato clamoroso, al quale abbiamo contribuito in larga misura proprio noi commercialisti senza però ricavarne riconoscimenti, ma solo un aggravio di adempimenti e responsabilità».

Lo split payment vi riguarda sia come categoria sia come professionisti. Perché lo considerate sbagliato?

«È una norma del tutto ingiustificata per il fatto che i professionisti subiscono la ritenuta all'atto dell'incasso dei compensi e l'operazione risulta dunque già tracciabile. Si tratta di una doppia trattenuta che non ha motivo di esistere e che ha come unico effetto pratico quello di privare i professionisti di liquidità, senza nessun vantaggio reale per le casse dello Stato. Una intollerabile penalizzazione del mondo del lavoro autonomo già tanto colpito dagli effetti perduranti della crisi».

Voi denunciate un aggravio economico dovuto al nuovo regime delle comunicazioni Iva. Può spiegarci perché?

«I software necessari per questo nuovo adempimento arrivano a costare fino a 1.000 euro all'anno. Una cifra abnorme per i nostri colleghi che nella maggioranza dei casi non riescono a riaddebitare i costi ai clienti i quali, ormai da tempo, hanno definito il limite del costo degli adempimenti fiscali. In sintesi gli oneri di ogni nuovo adempimento (spese di software e costo del personale) spesso rimangono totalmente a carico dei commercialisti e questo sta generando nella categoria una crescente insoddisfazione».

Avete l'impressione che il governo stia facendo cassa scaricando su di voi il costo di riforme e manovre?

«Purtroppo sì, secondo

uno schema ormai collaudato da anni. È chiaro che serve un deciso cambio di rotta. A fronte dell'impegno dei professionisti a favore della pubblica amministrazione, deve esserci un chiaro riconoscimento del nostro ruolo».

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