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Fidi facili e poltrone a pioggia La bella vita della famiglia Boschi

La banca del papà di Maria Elena ha prestato ai suoi vertici 90 milioni che sono diventati carta straccia

Fidi facili e poltrone a pioggia La bella vita della famiglia Boschi

Un uomo influente nella Toscana bianca della provincia aretina (feudo della sinistra Dc, confluita in massa nel Pd), un cattolico operoso e determinato («sale sugli alberi per potarli») ma «silenzioso» e «riservato», lo descrivono immancabilmente le cronache locali. Quel riserbo impenetrabile Pier Luigi Boschi lo sta osservando anche in questi giorni complicati, con il crack della sua Banca Etruria e la rivolta dei piccoli risparmiatori prosciugati, una grana per il governo dove ministro è la figlia Maria Elena.

Cortesi «no grazie» alle richieste dei cronisti appostati sotto casa a Laterina, silenzio pudico davanti alle domande che però restano. Non solo perché papà Boschi ha amministrato Banca Etruria dall'aprile 2011 fino al commissariamento per bancarotta, prima da consigliere di amministrazione - componente del Comitato controllo e rischi e poi del Comitato esecutivo -, e infine promosso vicepresidente dieci settimane dopo la nomina della figlia a ministro. Ma anche perché in quella banca, da almeno un decennio, vigeva una particolare usanza che riguarda proprio i suoi amministratori. I quali, in base a questa prassi consolidata, godevano del privilegio di poter ottenere dalla banca affidamenti anche per importi considerevoli (fino a 20 milioni a testa, raccontano rumors aretini mai smentiti), per se stessi o per società a loro collegate. Un generoso plafond a disposizione dei vertici, con i complimenti della banca e degli ignari risparmiatori.

E tutti i consiglieri di Banca Etruria avevano contemporaneamente altre poltrone in altre società, magari interessate ad un prestito a tasso amichevole da Banca Etruria. A partire da Pier Luigi Boschi, amministratore di quattordici altre aziende, soprattutto agricole ma non solo. Per alcuni, come l'ex presidente Lorenzo Rosi e l'ex consigliere Luciano Nataloni, sono stati gli ispettori di Bankitalia a mettere nero su bianco gli «interessi» in diversi finanziamenti della banca da loro stessi amministrata. Due gocce nel mare di «198 posizioni di fido per un importo totale di 185 milioni» che riguarda 13 ex amministratori e 5 sindaci della banca: di fatto prestavano i soldi a loro stessi. Non si conoscono gli altri nomi, e i documenti societari relativi a Banca Etruria sono inaccessibili sul web.A rendere ancora più incredibile il groviglio di interessi tra la banca aretina e i suoi vertici, c'è un dato, riportato dal Sole24Ore, che riguarda ancora i prestiti a loro concessi. Ovvero ben 90 milioni di euro affidati da Banca Etruria ai suoi stessi amministratori sono finiti tra i prestiti in incaglio o in sofferenza. E chi lavorava come manager proprio nell'ufficio incagli di Banca Etruria, la banca che perdeva soldi prestandoli al suo Cda? Emanuele Boschi, il fratello del ministro, l'altro figlio di Pier Luigi, vicepresidente della banca finita al collasso.

Un groviglio poco armonioso.

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