"Finalmente sono usciti dal format tv. L'occasione di una visione liberale"

Il giornalista e scrittore: "La Dc strappava ma vinceva alle urne"

"Finalmente sono usciti dal format tv. L'occasione di una visione liberale"

Aprire una battaglia è già una battaglia vinta. Pierluigi (Pigi) Battista, giornalista e scrittore, osserva con interesse il duello Giorgetti- Salvini. «Finalmente - nota l'editorialista di HuffPost - la Lega esce dal format televisivo».

Prego?

«Si, l'Italia ha molti leader che prendono i voti perché vanno in tv. Cambia che la Lega avrà, anzi ha già due linee su cui confrontarsi».

Ma non c'è il rischio di scissioni o strappi?

«Ma basta con questa litania degli strappi. La Dc era formata da personaggi con storie e sensibilità diverse che però convivevano e vincevano nell'urna».

La Dc però apparteneva alla Prima repubblica. Si possono replicare gli schemi del passato?

«Attenzione a non sottovalutare la Lega. La Lega è un partito, il solo partito italiano con il Pd, ha una storia lunga almeno 25 anni, ha ottimi amministratori sul territorio, è incredibile che ci si sia appiattiti su una sola figura».

Il primo partito italiano in parlamento è quello dei 5 Stelle.

«Quello non è un partito, è un umore che va e viene. la Lega è altro».

Chi vincerà il duello?

«Aver aperto una battaglia è già aver vinto. Ci sarà la discussione, litigheranno, poi, forse, si conteranno».

Avremo una Lega più moderata?

«No, questa espressione non mi piace. Non si tratta di andare verso un fantomatico centro, ma di esprimere una visione liberale».

Mena coreografie sul prato di Pontida?

«Esatto, meno corna, più sostanza. Si può stare al governo ed essere di destra: occorre intraprendere vigorose battaglie».

Un esempio?

«Anche due: dare una scossa all'esecutivo e al ministro delle infrastrutture che vanno lunghi sui cantieri da aprire. E poi, incalzare Draghi sul taglio delle tasse. Basta invece con la difesa a oltranza dei no green pass, delle minoranze che protestano e non portano da nessuna parte. Salvini si sta giocando i voti di milioni di italiani che non lo capiscono più e Giorgetti gli dà la sveglia. Ma poi Giorgetti rappresenta Zaia, rappresenta Fedriga, rappresenta i ceti produttivi del Nord che vogliono i fatti».

Una svolta troppo brusca potrebbe favorire l'ascesa della Meloni?

«Il problema non è avere i voti, ma avere i voti per governare che è un'altra cosa. Ma che c'entra la Lega con i polacchi e gli ungheresi? Pure questa storia dei migranti interessa sempre di meno».

Così non si rischia una trasformazione troppo brusca, la nascita di un altro partito?

«Ma no, ai tempi di Craxi c'era anche la sinistra lombardiana. Se avessero vinto loro, la storia politica d'Italia forse sarebbe stata diversa».

Insomma, come finirà?

«Non finirà. Credo che Salvini correggerà la sua linea, la contaminerà con l'altra, più europea. In ogni caso, lo schema a due punte, Salvini Meloni, ha fatto il suo tempo. Siamo in un'altra epoca».

Anche se, sondaggi alla mano, i due dovrebbero raccogliere più del 40% dei voti?

«Sono cambiate le coordinate.

Salvini deve recuperare la vocazione maggioritaria di Berlusconi. C'erano tre punte, il Cavaliere, Bossi, che voleva un freno ai migranti e la devolution, e Fini. La coalizione però andava oltre le istanze di questo o quel leader ed era competitiva per guidare il Paese».

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