Fioramonti, il nemico di Israele che teorizza il Pil della felicità

Viene fatto passare per economista ma non lo è. Ex portaborse di Di Pietro, boicotta Gerusalemme e propone la «decrescita»

Fioramonti, il nemico di Israele che teorizza il Pil della felicità

Roma Ci mancava solo l'aspirante ministro che vuol boicottare Israele.

L'incidente scoppia ieri mattina, quando il parlamentare Pd Emanuele Fiano denuncia che Lorenzo Fioramonti, professore di Scienze politiche in quel di Pretoria scovato dalla Casaleggio e infilato nelle liste del governo-fantasma di Luigi Di Maio alla casella «Sviluppo economico», nel 2016 si è sdegnosamente ritirato da un convegno sulla crisi idrica cui doveva intervenire, in Sudafrica, per protesta contro la partecipazione dell'ambasciatore israeliano. Alla denuncia dell'esponente dem seguono quelle di diverse sigle del mondo ebraico italiano, allarmato dall'alto tasso di inimicizia verso Israele dimostrata negli anni dai Cinque stelle.

Fioramonti respinge le accuse: «Mai sostenuto boicottaggi contro Israele». Ma la sua intervista al giornale sudafricano Daily Vox parla chiaro: il prof spiega che «il boicottaggio è fondamentale per aiutare la causa di una pace equa in Medioriente», che il suo rifiuto puntava a «delegittimare il summit» e che i successi tecnologici israeliani sulla gestione dell'acqua (riconosciuti in tutto il mondo) sono «un prodotto della fantasia».

Fioramonti smentisce, le carte confermano. Del resto, il personaggio è abile nel mischiarle: per dirne una, è riuscito a presentarsi sulla scena italiana come «economista», come ripetono a pappagallo giornali e sottopancia tv, senza esserlo. Già: il giovanotto è laureato in Filosofia a Roma, ha preso un dottorato in Scienze politiche e poi - dopo un paio d'anni come assistente parlamentare di Tonino Di Pietro, proprio lui - è emigrato a Pretoria, dove insegna. Al Dipartimento di Scienze politiche, per l'appunto. Lui non si fa smontare da così poco, però: «Per avere un Nobel in Economia non è più necessaria una laurea in Economia», assicura, vantandosi di aver «scritto libri tradotti e citati in tutto il mondo». Del resto, ricorda con la tipica modestia, «anche Macron ha fatto il ministro dell'Economia con una laurea in filosofia». Nell'attesa del Nobel e/o dell'Eliseo, il non-economista si accontenterebbe di fare il ministro di Di Maio, perché arde dal desiderio di applicare le sue idee alla già provata realtà italiana. Due i capisaldi della sua teoria economica: la critica al Pil come indicatore del benessere (teoria ovviamente mutuata da studiosi un po' più noti, come Joseph Stigliz), da cui discende la contestazione dei vincoli Ue; e l'entusiastico sostegno al reddito di cittadinanza grillino.

Quando però è stato spedito al suo primo dibattito tv a Otto e Mezzo a spiegare come verrà pagato (e a venir ridotto in polpette dall'economista - vera - Veronica De Romanis) Fioramonti è stato un po' vago: «Taglieremo i costi della politica e faremo una serie di tassazioni».

Richiesto di specificare i tagli, ha tirato giù l'asso: «Aboliremo l'ufficio che si occupa della ristrutturazione degli uffici dei presidenti delle Camere». Peccato che il risparmio non basterebbe neppure a pagare il suo, di reddito.

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