Cronache

Fisco e pensioni nodi futuri di Draghi. Partiti in pressing ma mancano i soldi

I progetti del governo su tasse, ammortizzatori sociali e welfare costano 40 miliardi di euro ma in cassa ce ne sono appena 3: saranno usati per eliminare minibalzelli e trasformare L'Irap. La partita sulla previdenza e la "Quota 41".

Fisco e pensioni nodi futuri di Draghi. Partiti in pressing ma mancano i soldi

La rentrée di settembre non sarà in discesa per il premier Mario Draghi. Il governo, infatti, si troverà a dover dare quattro risposte precise ad altrettanti progetti di riforma fondamentali per il Pnrr e per l'erogazione dei fondi. Il problema è rappresentato dalla scarsità delle risorse che, al momento, impedirebbe interventi incisivi su fisco, ammortizzatori sociali e welfare. Ecco perché la stesura del Def e della legge di Bilancio non sarà scevra di polemiche visto che privilegiare uno degli ambiti significherebbe accettare una curvatura marcatamente politica di un esecutivo a forte base tecnica nei ministeri con portafoglio.

Il ddl delega per la riforma fiscale è pressoché pronto e ricalca le conclusioni dell'indagine sull'Irpef delle commissioni Finanze di Camera e Senato: abolizione dell'Irap, abbassamento dello scalone Irpef che colpisce i redditi tra 28mila e 55mila euro e, infine, eliminazione delle microtasse e forti vantaggi fiscali per donne e under 35 al lavoro. Il costo complessivo, in assenza di una revisione degli sconti fiscali e di una efficace spending review, è di 40 miliardi. In cassa ce ne sarebbero 2-3 e probabilmente saranno utilizzati per eliminare i minibalzelli, per trasformare l'Irap in un'addizionale regionale dell'Ires salvaguardando le partite Iva che pagano l'Irpef e per qualche sconto fiscale ai capifamiglia che perdono la detrazione per coniuge a carico allorquando si impieghi.

Resta esclusa la riforma Irpef. Secondo le anticipazioni fornite dal Centro studi Itinerari previdenziali in collaborazione con Cida, nel 2020 (redditi 2019) su un gettito Irpef di 172,5 miliardi il 21,18% dei contribuenti italiani con redditi superiori a 29mila euro lordi ha corrisposto il 71,64% dell'intera imposta. In particolare, la classe di reddito da 29.001 a 35.000 euro (3,3 milioni di contribuenti, il 7,96% del totale) ha versato il 12,78% dell'Irpef, mentre la metà degli italiani ha pagato il 3% dell'imposta. Fi e Lega sono già in pressing.

Non va meglio in materia di riforma degli ammortizzatori. «Il Covid ha colpito soprattutto i lavoratori autonomi», ha ricordato ieri l'Ufficio studi della Cgia di Mestre evidenziando che tra febbraio 2020e giugno 2021 su 470mila occupati persi ben 378mila (oltre l'80%) sono lavoratori indipendenti. La riforma presentata dal ministro del Lavoro, Andrea Orlando, (domani ne discuterà con i sindacati) va in questa direzione, allargando le tutele agli autonomi e ai dipendenti di microimprese non solo attraverso un'indennità di disoccupazione a tutti, ma anche includendoli nel programma Gol gestito dalle Regioni per la rioccupabilità di chi perde il proprio posto. Anche qui c'è un nodo risorse che Orlando si è guardato bene dallo sciogliere. Per estendere le guarentigie come saranno distribuiti i contributi assicurativi? Le grandi imprese pagheranno di più o lo Stato si farà carico di una parte delle spese? La riforma, infatti, costa almeno 8 miliardi dei quali 1,5 miliardi sono stati recuperati con lo stop al cashback. Orlando ha accennato al lavoro del ministero per «collegare più efficacemente il reddito di cittadinanza alle politiche attive del lavoro». Su circa 9 miliardi di spesa per la misura grillina un simile intervento recupererebbe 3-3,5 miliardi per dirottarli alla riforma degli ammortizzatori sotto forma di sussidio di disoccupazione e di formazione per il reimpiego. La modifica, però, demolirebbe un altro baluardo M5s.

Ultimo ma non meno importante il capitolo pensioni. Quota 100 scade a fine anno e non sarà rinnovata. Il presidente Inps, Pasquale Tridico, ha sottolineato che la proposta di «quota 41» della Lega (cioè pensioni di anzianità a 41 anni di contributi e non a 42 anni e 10 mesi) costa 9 miliardi. Troppi. Il numero uno Inps ha aperto a un allargamento dell'Ape social (63 anni di età e 20 di contributi) per chi raggiunge assegni di almeno 1,2 volte il minimo. Con una specifica: dai 63 anni fino ai 67 di pensionamento effettivo si paga solo la quota contributiva. Costa 400 milioni (2 miliardi a regime).

Ma Lega e sindacati sono già sul piede di guerra.

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