Non bastavano le epurazioni degli insegnanti, il rogo dei libri, l'islamizzazione della società, gli arresti dei giornalisti. Ora i turchi devono subire anche la privazione di Dario Fo. Quando è troppo, è troppo. E infatti, in un'intervista su Repubblica, il grande commediografo ha avvertito la comprensibile urgenza di comunicarlo al mondo, denunciando l'ultima mossa del feroce Erdogan: «Lo Stato turco ha decretato che nessuna compagnia teatrale straniera può mettere in scena Shakespeare, Brecht, Cechov e Dario Fo». Suona paradossale, come un racconto di Bulgakov, ma se lo dice Lui, il Darione nazionale, chi potrebbe dubitarne. E infatti la notizia rimbalza identica su tutti i mezzi di informazione senza. Per il Minculpop turco i versi del Bardo e il grammelot pari sono? Il mondo della cultura italiano non viene sfiorato dal dubbio.
Ma a sentire i colleghi del quotidiano turco Hurriyet, importante testata non allineata a Erdogan, le cose starebbero in modo un po' diverso. Tutto è nato dalla dichiarazione di Nejat Birecik, il capo del Direttorato generale dei teatri di Stato turchi, secondo cui nell'apertura della prossima stagione sarà dato spazio alla «riscoperta del teatro turco». E Mediapart, nota testata francese specializzata in giornalismo investigativo, conferma che si tratterebbe di una clamorosa bufala. Vero dunque che anche in campo teatrale si fa sentire l'ondata di nazionalismo scatenatasi dopo il golpe, e non è notizia da sottovalutare. Falso che ci sia una messa al bando degli autori occidentali, che saranno comunque rappresentati nel corso della stagione, ma non nell'apertura, e peraltro nei soli teatri di Stato. Ancor più falso che Dario Fo sia mai stato citato in elenchi di autori da censurare, in compagnia di Shakespeare o meno. L'annuncio che verrà dato meno spazio ad autori stranieri nei soli teatri di Stato insomma, in teoria darebbe titolo di lamentarsi pure a Montesano o al Bagaglino, per dire. La differenza è che per loro probabilmente non si accenderebbe la solita ondata di solidarietà che il culturame nostrano mai lesina ai propri simili. Primo a scendere in campo, ignaro del teatrale scivolone, è Sergio Escobar, direttore del Piccolo Teatro di Milano, che premettendo una lode alle collaborazioni con i teatri turchi, ripropone serenamente l'azzardato paragone, ed «esprime una ferma condanna nei confronti del bando dai teatri di autori come Shakespeare, Cechov, Brecht, Dario Fo». E poi salendo di tono retorico: «L'obiettivo non è il teatro ma non consentire la formazione di un'identità europea allargata e condivisa, confermando come di questa costruzione la cultura sia invece un motore potentissimo».
Di sicuro lo è per l'ego di Dario Fo che ieri, intervistato da Stampa e Corriere, ha ripetuto la storiella, ammettendo che per lui «è come un secondo Nobel» e aggiungendo dettagli via via più fantasiosi: «Erdogan mi ha citato insieme a Shakespeare e Cechov», «il mio Morte accidentale di un anarchico deve aver dato molto fastidio perché è stato letto come un'accusa alla polizia turca e ai suoi metodi», fino al parossismo «non possono ignorarmi e sono costretti a dire che le mie opere non devono andare in scena. Vuol dire che sono più forte di loro». Pare di vederlo Erdogan terrorizzato dal grammelot. Cose turche.
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