di Angelo Allegri
L'abolizione della povertà è fissata, come noto, al 15 ottobre, giorno di presentazione a Bruxelles del Documento di Economia e Finanza. Per gli incidenti stradali e i morti sulle strade ci vorrà un po' di più: tra due anni saranno dimezzati, nel 2050 azzerati. A fissare le scadenze in questo caso non è il vice-premier Di Maio («Noi con questa legge di Bilancio avremo abolito la povertà»), ma lo stesso Def. A pagina 74 si parla dell'introduzione di un sistema di «infrastrutture stradali dotate di piattaforme di osservazione, monitoraggio e previsione del traffico con sinergia tra infrastrutture digitali e veicoli di nuova generazione» che darà subito frutti, «dimezzando il numero di vittime della strada entro il 2020 ed annullandolo entro il 2050».
Comunque si riesca ad ottenerlo l'obiettivo è meritorio. E parlarne nel più importante documento contabile della Repubblica è davvero un simbolo del «governo del cambiamento». Da sempre il Def è una lunga, noiosissima infilata di cifre e tabelle su economia e conti pubblici: l'anno scorso Gentiloni non riuscì a fermarsi prima di 180 pagine, con Berlusconi la media era di 150.
Ora la parola d'ordine è: basta numerini, pensiamo ai cittadini. Così il documento si è ridotto ad agili 123 facciate. Che poi sono anche meno perché di economia in senso stretto si parla solo fino a pagina 64. Da lì in avanti si passa in rassegna «La strategia di riforma del governo» e in termini un po' vaghi si ricapitola quello che Conte e compagni intendono fare nei più svariati campi: dalla giustizia al turismo, dalla famiglia alla biodiversità. Qui di cifre non ce ne sono, in compenso si possono leggere interessanti excursus su argomenti come l'economia circolare o le piste ciclabili. I punti fermi sono che «andranno incrementate le iniziative per un ciclo virtuoso di prevenzione, riutilizzo e riciclo dei rifiuti» e che il governo ha tra le sue priorità «la promozione della mobilità sostenibile». È un tema, questo, a cui è dedicato praticamente lo stesso spazio riservato alle grandi opere (Tav, Gronda di Genova, eccetera). Ma mentre per queste ultime si capisce che il desiderio inespresso sarebbe quello di bloccare tutto o quasi («rigorosa analisi costi-benefici, «attento monitoraggio», ecc) per le ciclovie il campo è libero. È già pronto, si scrive con soddisfazione, il decreto per il primo «Piano Nazionale» delle piste ciclabili: Grande raccordo ciclabile di Roma, Ciclovie Venezia-Torino, della Magna Grecia, e l'opera più spettacolare di tutte, la Ciclovia del Sole, dal Brennero alla Sicilia.
Resta il dubbio su come reagiranno gli occhiuti funzionari di Bruxelles e gli analisti finanziari (i famosi mercati!) quando vedranno che il governo italiano preferisce parlare di biciclette anziché di infrastrutture che il resto del mondo considera fondamentali.
Ma il peggio, naturalmente, è che anche nella prima parte, quella dove qualche numero c'è, i conti non tornano. E spesso i tecnici del Mef danno l'impressione di voler buttare la palla in tribuna. Le pensioni, per esempio: è chiaro, dicono, bisogna riformare la legge Fornero per mandare a casa i vecchi e far entrare i giovani nel mondo del lavoro. Ottimo. Poi a pagina 61 si parla della «legge n.
214/2011», la Fornero, appunto, che «elevando i requisiti di accesso per il pensionamento di vecchiaia ed anticipato, ha migliorato in modo significativo la sostenibilità del sistema pensionistico nel medio-lungo periodo, garantendo maggiore equità tra le generazioni».Ma allora, non facciamo scherzi: la Fornero tutela i giovani? E se è così, come scrivete, perché la volete smantellare? Provate un po' voi a spiegarlo al sobrio Juncker.
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