Francia, gli studenti «chic» adesso difendono il velo

Nell'università dell'elite democratica di Parigi volto coperto per solidarietà alle musulmane Ma in tanti, anche a sinistra, vogliono vietarlo

Francesco De Remigis

Tutti col velo a Scienze politiche. Slogan inedito per il prestigioso ateneo parigino «Science Po» dove ha studiato un terzo del governo socialista (tra gli altri Ségolène Royal) e in cui François Hollande è stato docente fino al '91. Ieri, in rue Saint-Guillaume, la scuola della classe dirigente francese, è andato in scena l'Hijab Day, la risposta dell'islam militante alle polemiche sul foulard che dividono la maggioranza socialista. Una legge francese del 2004 ha messo al bando veli e «simboli religiosi» nelle scuole pubbliche, medie e licei. Ma non riguarda le università, dove si ricorre a indicazioni di forma e dove il terreno è fertile per il proselitismo. Dalle 8 del mattino, a Science Po, il collettivo promotore ha messo a disposizione decine di hijab, invitando le ragazze ad indossarlo in segno di solidarietà. Immediata la polemica degli altri gruppi studenteschi, tra cui quello vicino ai neogollisti: l'Uni, che ha denunciato «elementi di propaganda islamica» dopo i ripetuti inviti alle ragazze dentro la facoltà a portare il foulard e a porre domande sull'islam.

L'appello al «rispetto per l'altro» e alla «comprensione reciproca» non ha evitato che la notizia rimbalzasse sui media e in Parlamento. L'anno scorso la questione «non era minimamente di attualità», diceva il premier Manuel Valls. Era il 2 febbraio 2015, pochi giorni dopo gli attentati a Charlie Hebdo e al supermercato ebraico. Un professore universitario interruppe la lezione spiegando che non avrebbe ripreso se una studentessa non si fosse scoperta i capelli. Il preside dell'Università Paris XIII di Villetaneuse gli tolse la cattedra. Dopo i 130 morti del Bataclan, e lo stato di emergenza prolungato a fine luglio, il premier ha cambiato idea, e il dibattito sull'hijab è tornato di moda. Pubblicità, satira, marketing. Proprio Valls, che giusto ieri ha annunciato la proroga dello stato di emergenza per altri 2 mesi in vista degli europei di calcio e del tour de France di ciclismo, pochi giorni fa a Libération ha riacceso la miccia: «Mi piacerebbe che fossimo capaci di dimostrare che l'islam è fondamentalmente compatibile con la République». Ma a domanda precisa sul vietare l'hijab nelle università ha risposto: «Bisognerebbe farlo. Il velo non è un fenomeno di moda non è un colore che si porta, no: è un assoggettamento della donna».

Al bando negli atenei restano contrari François Hollande e il ministro dell'Educazione nazionale di origini marocchine, Najat Vallaud-Belkacem. In questo clima «l'Hijab Day non sarà vietato a Science Po», ha scritto la scuola su Twitter. «Ciò non significa che sosteniamo l'iniziativa». Poco più di 300 iscritti su Facebook e molti meno studenti attirati all'ingresso dell'ateneo. A far notizia, sono state le reazioni. Il filosofo Bernard-Henri Lévy si chiede: «A quando una giornata della Sharia? Della lapidazione? Della schiavitù?». Quella degli stessi studenti: «La Francia ha 99 problemi, l'hijab non lo è», è il contro-manifesto all'ingresso dell'ateneo. Gli organizzatori ribattono che dopo le parole del premier e le forzature di Laurence Rossignol, la ministra alla famiglia contestata per aver definito le musulmane laiche schiave consenzienti, l'Hijab Day era necessario per «smitizzare» l'uso del velo islamico. «Come insegnante, voglio esprimere la mia totale disapprovazione ha scritto su Twitter Bruno Le Maire, candidato neogollista alle primarie dei Repubblicani per l'Eliseo 2017 In Francia le donne devono essere visibili».

Plantu, il vignettista di Le Monde, pochi giorni fa era dello stesso avviso. Una sua vignetta intitolata «Dolce & Gabbana lancia una collezione di hijab», con una donna kamikaze aggiunge: «A quando la cintura esplosiva fashion?».

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