Chi di tradimento ferisce, di tradimento perisce. Matteo Renzi, a quasi tre anni di distanza da quel famoso #Enricostaisereno, rischia di non riuscire a realizzare il percorso politico che ha in mente per restare a galla. Il premier dimissionario oscilla tra la volontà di prendersi una pausa e il desiderio di capitalizzare il “tesoretto” del 40% dei “sì” andando subito al voto.
Il ragionamento del “giglio magico” è stato molto ben sintetizzato dal tweet del fedelissimo Luca Lotti. “Tutto è iniziato col 40% nel 2012. Abbiamo vinto col 40% nel 2014. Ripartiamo dal 40% di ieri!”, ha twittato ieri il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. Tornare alle urne, però, non è così semplice come può sembrare. Certo, i Cinquestelle e il centrodestra reclamano il voto ma le acque agitate dentro la maggioranza indicano prudenza. Oggi l’Udc di Lorenzo Cesa è uscita dal gruppo parlamentare alfaniano di Area Popolare perché contraria al ritorno immediato al voto.
La minoranza Pd contraria al ritorno alle urne
Ma è dentro il Pd che si annidano le difficoltà principali con la minoranza dem, composta da circa 60/70 parlamentari, si è già detta contraria alle elezioni anticipate. "Non si può vincere sulle macerie del Paese. E allo stesso modo non si può neanche perdere sulle macerie del Paese. Perché è lì che stiamo andando...", ha detto Pierluigi Bersani conversando in transatlantico con i giornalisti. Grazie al Pd scopriamo così che in politica non serve una maggioranza solo per andare al governo ma anche per andare alle elezioni. Renzi, infatti, dopo aver perso il referendum 60 a 40, deve convincere i parlamentari del Pd che a febbraio può portare il suo partito alla vittoria alle Politiche. Impresa alquanto ardua dato che il premier non controlla i suoi gruppi parlamentari e che, secondo fonti del giornale.it, quasi nessun deputato sarebbe pronto a seguirlo su questa strada. “Chi ci garantisce che verremo rieletti?”, ci dice un deputato della minoranza che aggiunge: “tra un anno non sarà più lui a decidere le liste”.
Chi controlla davvero i parlamentari Pd
I parlamentari del Pd sono 301 alla Camera e 113 al Senato e, ovviamente, è impensabile che Renzi riesca a convincerli tutti a lasciare la poltrona. Di questi 400 e passa parlamentari solo 50-70 sono fedelissimi renziani della prima ora, mentre la corrente più numerosa è quella del ministro della Cultura, Dario Franceschini, che controlla tra gli 80 e i 100 democrat. I capigruppo di Camera e Senato, Ettore Rosato e Luigi Zanda, provengono proprio dalla corrente franceschiniana di Area dem e se il Pd ha sostanzialmente retto in questi 1000 giorni di governo Renzi è anche grazie al loro operato. Renzi, l’accoltellatore di Enrico Letta, deve, infatti, la tenuta del suo partito al tradimento di due traditori di professione: Dario Franceschini e Matteo Orfini, la cui corrente, quella dei Giovani Turchi, conta circa 40 deputati. Il primo che nel lontano 2009 si presentò come il candidato veltroniano alle primarie del Pd contro Bersani e, poco dopo essere stato sconfitto si allineò quasi subito alle posizioni del suo sfidante ottenendo in cambio la nomina di capogruppo alla Camera. Franceschini restò fedele a Bersani fino alle primarie del 2013 quando decise di appoggiare proprio Renzi, mentre Orfini ‘tradì’ l’ex segretario qualche mese dopo quelle votazioni interne al Pd. Tradimento che si consuma nel giugno del 2014 quando Orfini diventa presidente del Pd dopo le dimissioni di Gianni Cuperlo.
Le prossime mosse di Renzi
Mille giorni di governo cambiano tante cose ma “chi tradisce una volta, tradirà sempre”, dice un vecchio adagio che dovrebbe mettere in allerta il segretario-premier in vista della direzione di domani. Renzi ha la necessità di tenere uniti i gruppi parlamentari dem in attesa del 24 gennaio prossimo, quando la Consulta si esprimerà sulla legge elettorale. Una data che porta ad escludere l’ipotesi di elezioni a febbraio e che costringe, Renzi, in qualità di segretario del Pd, a lottare per imporre un suo successore che abbia scarse ambizioni politiche come il tecnico Giancarlo Padoan l’ortodosso renziano Paolo Gentiloni o il presidente del Senato Pietro Grasso.
Tale operazione, però, si potrebbe scontrare con le ambizioni di Franceschini che oggi ha dichiarato che “serve un governo, per gestire in modo ordinato la nuova legge elettorale. Non possiamo andare in questo modo a elezioni anticipate”. Un avvertimento dato da chi, già da tempo, è pronto a scendere dal carro del vincitore per prenderne il posto.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.