Gentiloni chiede a Trump ​aiuto su immigrati e Libia

Necessaria un'intesa Roma-Washington per gestire la crisi che arriva dal Paese al di là del Mediterraneo

Gentiloni chiede a Trump ​aiuto su immigrati e Libia

Roma - Paolo Gentiloni tende la mano a Donald Trump. Un gesto più che diplomatico. Almeno a sentire lo stesso premier dopo l'incontro che si è tenuto ieri sera alla Casa Bianca. Il primo faccia a faccia tra il nuovo capo di Stato americano con il nostro presidente del Consiglio è stato segnato comunque dai temi del momento: dalla minaccia del terrorismo di matrice islamica ai problemi legati ai flussi migratori, fino alla stabilizzazione dell'area mediterranea. Il terzo incontro bilaterale dell'amministrazione Trump con leader europei è tra l'altro caduto dopo i primi cento giorni del nuovo corso trumpiano. In un tripudio di sorrisi e di strette di mano. «Con gli Usa c'è un rapporto storico a cui teniamo molto» aveva già detto Gentiloni parlando con i cronisti a margine del suo intervento al Center for Strategic and International Studies di Washington nel pomeriggio. «Un rapporto - aveva spiegato - che non può che essere considerato un pilastro della nostra politica estera». D'altronde il rapporto con un alleato come gli Stati Uniti, fa capire il premier, è fondamentale per gestire la crisi del Mediterraneo. Ad esempio la leadership Italia-Usa è «strategica» per gestire la stabilizzazione della Libia. Per la quale serve fin da subito una sorta di «asset transatlantico». Come anche per far fronte ai fenomeni migratori e per combattere il terrorismo internazionale di matrice islamica. Questo, infatti, ha spiegato Gentiloni, potrebbe essere poi l'anno della «definitiva sconfitta di Daesh nel controllo del territorio». Un risultato possibile proprio grazie a un «approccio multidimensionale implementato dalla coalizione guidata dagli Usa in Siria e Iraq, che si sta dimostrando efficace». Gentiloni ha detto che la «nostra strategia dovrebbe continuare a insistere su un aumento di scambi tra agenzie di intelligence rilevanti e sul contrasto delle reti finanziarie» dei gruppi terroristi. Il premier, poi, ha fatto capire al padrone di casa di condividere in buona sostanza la posizione assunta nella crisi siriana. Soprattutto dopo il tanto discusso bombardamento delle basi aeree da cui sarebbero partiti i raid che avrebbero portato morte e distruzione anche tra i civili con le armi chimiche. Quella del presidente Trump, secondo il premier italiano, è stata una «risposta motivata all'uso di armi chimiche». Un messaggio chiaro a Bashar al Assad, il presidente della Siria. «Credo sia stata la cosa giusta da fare», ma «questo non vuol dire, dal nostro punto di vista, che si possa pensare a una soluzione militare della crisi siriana». Questo il punto nodale dell'intervento di Gentiloni al Center for Strategic and International Studies. Il nostro presidente del Consiglio ha poi aggiunto che adesso è giunto il momento «di negoziati veri», dal momento che «Assad non è l'unico attore, e che si deve considerare anche con l'opposizione». Una mediazione per la quale il premier chiama in causa anche la Russia di Putin.

L'idea isolare Mosca è secondo Gentiloni «antistorica» e soprattutto può trasformarsi in un boomerang visto le possibili «reazioni nazionalistiche» in quel Paese. «Raggiungere un senso di unità - dice Gentiloni - è una delle grandi missioni del G7 di Taormina».

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