Libia, creato a Roma il centro di coordinamento degli alleati

Italia pronta a guidare la missione. Ma Renzi avverte: "Abbiamo visto che è accaduto quando i francesi e gli inglesi, sono intervenuti senza un quadro di governo stabile". E Gentiloni: "L'Isis non giustifica operazioni nel deserto"

Libia, creato a Roma il centro di coordinamento degli alleati

I militari americani e gli alleati, inclusi Francia e Gran Bretagna, "hanno creato un Centro di coordinamento della Coalizione a Roma". "Da mesi", rivela il generale Donald Bolduc, comandante delle Forze speciali Usa in Africa, stanno preparando un piano per un secondo intervento in Libia dopo quello del 2011. "Siamo pronti come coalizione a rispondere alle richieste di sicurezza di un governo libico di unità nazionale e l'Italia è pronta a guidare la missione", conferma il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni annunciando il primo passo verso una operazione militare italiana in Libia. "Ci sono piani molto avanzati - mette in chiaro - ma il governo libico di unità è la chiave di tutto". Una posizione confermata dallo stesso premier Matteo Renzi che, in una intervista al Tg1, ha sottolineato la priorità per l'Italia che in Libia venga formato un governo.

Londra e Berlino hanno intanto deciso di spedire propri soldati in Tunisia per contribuire al controllo della frontiera con la Libia e addestrare militari libici in chiave anti-Isis. Un'attività che le forze speciali francesi, britanniche e statunitensi già fanno in Libia, a Bengasi e Misurata. Secondo altre testimonianze, militari stranieri sarebbero già presenti anche a Tripoli. L'Italia, invece, resta il regno incontrastato dei "se" e dei "ma". Il governo sembra, infatti, deciso a scendere in campo con missioni di sostegno alla sicurezza mirate e richieste direttamente dal governo libico. Ma prima pretende una stabilità governativa che difficilmente la Libia riuscirà a raggiungere nell'immediato. Per Renzi la formazione di un governo resta la priorità per intervenire. "L'Italia è un Paese guida su questo dossier - spiega al Tg1 - ma priorità è formare un governo in Libia". Il premier conferma il rapporto "molto solidi" con gli Stati Uniti: "Sono i nostri principali alleati e con loro condividiamo il giudizio che prima di una missione vadano fatti tutti i tentativi per formare un governo". Ma ci tiene a lanciare un avvertimento netto agli alleati: "Abbiamo visto che è accaduto quando i francesi e gli inglesi, sono intervenuti senza un quadro di governo stabile".

"Roma, Parigi e Londra - scrive il Wall Street Journal citando una fonte europea - si oppongono ad un intervento senza un governo di unità in Libia per non infiammare il nazionalismo e favorire l'Isis". Gli occhi della comunità internazionale sono, dunque, puntati su Tobruk, dove ancora non è stata data luce verde al governo di unità nazionale presieduto da Fayez al Sarraj, al quale si oppongono diversi attori, tra i quali soprattutto il generale Khalifa Haftar, grande protetto dell'Egitto. Secondo l'autorevole quotidiano egiziano al Ahram, al Cairo "sono in corso negoziati informali" tra le parti libiche per arrivare a una intesa di mediazione che "porti alla nascita di un consiglio presidenziale guidato da Sarraj, due vicepresidenti e due ministri di Stato affiancati dal ministro della Difesa", in rappresentanza delle istanze regionali e politiche libiche. In questo quadro, Haftar dovrebbe rimanere a capo dell'esercito, "ma senza incarico nel governo".

A Bengasi si combatte ancora. In alcune aree periferiche le posizioni dell'Isis sarebbero stata rafforzata dall'arrivo di altri combattenti, in maggior parte stranieri e veterani del teatro di guerra in Siria e in Iraq. E, secondo il ministro degli Esteri russo Serghiei Lavrov, cresce il pericolo che i seguaci di Abu Bakr al Baghdadi possano ricorrere all'uso di armi chimiche. E potrebbero tentare di mettere le mani sulle 700 tonnellate di agenti chimici che l'Opac stima si trovino ancora nel Paese nordafricano. "Io non ho particolari fremiti interventisti - ha messo in chiaro Gentiloni - non perché c'è questa minaccia si deve intervenire. Giustificare con queste minacce spedizioni militari nel deserto è una valutazione che non coincide con la visione del governo italiano". Per il momento, secondo il titolare della Farnesina, "la presenza di Daesh in Libia è numerosa ma circoscritta, 4.000-4.500 combattenti". Questo non indurrà il goverbo Renzi a sottovalutarne i rischi.

"La prevenzione del terrorismo è in atto, ma è importante anche la stabilizzazione - ha concluso Gentiloni - l'Italia ha bisogno di avere di fronte alle proprie coste un Paese con un governo con il quale si possa interloquire per i problemi dei migranti, sul tema delle grandi risorse energetiche e sul contrasto al terrorismo".

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