Jens Weidmann, potente capo della tedesca Bundesbank, sembra aver stipulato con la Bce di Mario Draghi una sorta di tregua armata sulla politica monetaria per puri motivi di convenienza (il nemico numero uno della Germania è ora Donald Trump), ma quando c'è di mezzo l'Italia torna il falco di sempre, l'alfiere del rigore senza flessibilità. Sconti, non ne fa. Qualcuno aveva scommesso sulle capacità del Belpaese di risistemare i conti e far pulizia in casa? «Aspettative deluse - sentenzia il più feroce detrattore del quantitative easing in un discorso tenuto ad Amburgo - : con la crisi economica dell'inizio degli anni 2000, i deficit di bilancio italiani hanno ricominciato a salire e sono rimasti per lungo tempo al di sopra della soglia del 3%».
L'entrata a gamba tesa - e fuori tempo - arriva subito dopo: «Da allora - rileva Weidmann - non viene più registrato un avanzo primario tale da permettere una discesa continuativa dell'indebitamento. Anzi, a causa della crisi finanziaria, economica e del debito sovrano, il rapporto debito-Pil nel Paese ha addirittura superato nettamente la soglia del 130%». Peccato che la verità sia un'altra, e a raccontarla è quel Fondo monetario internazionale che certo non può essere tacciato di benevolenza nei nostri riguardi. Dice l'organizzazione guidata da Christine Lagarde: nell'ultimo ventennio, solo due volte il nostro Paese ha accusato un saldo negativo tra entrate e uscite, al netto degli interessi sul debito. Non solo. Dal 1996 ad oggi abbiamo fatto meglio di Berlino: l'avanzo tricolore è stato in media pari al 2% del Pil, mentre quello tedesco non è andato oltre lo 0,7%. E limitando il focus al periodo successivo alla crisi dei debiti sovrani (anno 2010), si scopre che l'Italia stacca ancora la Germania con un saldo positivo dell'1,18% contro l'1,1% tedesco. Al di là delle riforme non fatte o incompiute, di sforzi ne sono stati fatti, e Weidmann sembra voler negare l'evidenza. Dimenticando che l'esplosione del debito pubblico va messa anche in correlazione con una crisi economica profondissima. Che le politiche di austerity tanto care alla Germania hanno contribuito a esacerbare.
È un solco, quello dell'austerità come strumento di risanamento, dal quale una certa Europa non intende uscire. Incurante dei rischi che un'Unione così ingessata nelle regole potrebbe correre nelle tornate elettorale che si terranno quest'anno. La Grecia, tornata a essere un problema, ne è la prova. Ieri, nonostante una riunione fiume alla quale hanno partecipato il ministro greco Tsakalotos e i rappresentanti della Troika più il direttore generale del Fondo salva-Stati Rgling, le parti sono rimaste sostanzialmente distanti. «Abbiamo fatto progressi sostanziali», ha detto il presidente dell'Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem. Ma la verità è un'altra. In agenda è già stato fissato un nuovo incontro, la prossima settimana, per provare a trovare un punto d'incontro. E non sarà facile. La divisione maggiore ruota attorno all'avanzo primario del 3,5% che il Paese ellenico deve raggiungere a partire dal 2018. I creditori sono convinti che l'attuale percorso di riforme seguito dalla Grecia non consenta di raggiungere l'obiettivo. E per questo avrebbero proposto tagli di bilancio pari al 2% di Pil e una serie di ulteriori riforme strutturali al mercato del lavoro come condizione necessaria per erogare la nuova tranche di aiuti nell'ambito del paino di salvataggio da complessivi 86 miliardi di euro. Ma il governo di Alexis Tsipras, alle prese con un calo di popolarità in patria, per ora non ha ceduto alle pressioni dei creditori.
Gli obiettivi di bilancio di medio termine della Grecia hanno un impatto anche sulla questione della sostenibilità del debito che è al centro di uno scontro tra l'Fmi e i creditori europei. L'istituzione di Washington vorrebbe una ristrutturazione significativa del debito, ma l'Eurogruppo è pronto solo a concessioni minori. In luglio, la Grecia deve rimborsare circa 6 miliardi di debito a investitori privati, Bce e Fmi. Tuttavia le prossime scadenze elettorali pesano sui negoziati.
Secondo alcune fonti, l'impasse deve essere superata entro la prossima riunione dell'Eurogruppo del 20 febbraio. Altrimenti le elezioni del 15 marzo in Olanda e la campagna elettorale in Germania renderanno più difficile un accordo sull'esborso entro l'estate, con il pericolo che la Grecia si ritrovi sull'orlo del default.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.