«La flat tax è una nostra priorità ed è nel programma di governo: abbiamo valutato i costi e i benefici e una riduzione fiscale porta sicuramente più benefici che costi». Quota 100? «È l'inizio di un percorso perché l'obiettivo è quota 41». L'insofferenza manifestata ieri dal leader leghista Matteo Salvini denuncia la difficoltà, ormai conclamata, nella realizzazione delle promesse contenute nel contratto di governo.
La colpa non è del Capitano. L'inversione del ciclo macroeconomico, la recessione molto probabile e le risorse vincolate per le spese già previste (reddito di cittadinanza, quota 100 e i 23 miliardi per sterilizzare le clausole di salvaguardia sull'Iva) rendono pressoché nullo il margine di manovra per la flat tax. Ecco perché Salvini ha voluto spezzare il circolo vizioso dal quale si sente oppresso e che si può sintetizzare nel gioco di sponda Tria-Di Maio.
Di sicuro il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giancarlo Giorgetti, non ha assecondato fino in fondo i desiderata del suo segretario. «Adesso presenteremo il Def: è chiaro che in Europa la situazione è particolare, di transizione, in attesa anche delle nuove elezioni», ha dichiarato specificando che «tutti quanti, non solo in Italia, devono chiarirsi le idee su quale sia il percorso e lo sviluppo dell'Europa». Non si tratta di argomentazioni fumose: in pratica, Giorgetti ha spiegato che, se le regole restano quelle attuali, la priorità è evitare l'aumento dell'aliquota principale Iva dal 22 al 25,2 per cento. Se, invece, l'orientamento comunitario cambiasse dopo le elezioni, ci sarebbe spazio anche per la riduzione fiscale invocata da Salvini.
E la bozza nel Def pare scritta proprio su questa base. Anche se nel 2020, come in tutti i casi precedenti, si danno per attivate le clausole di salvaguardia, a margine si scrive a chiare lettere che evitare l'aumento è una priorità. Quei 23 miliardi, pertanto, sono vincolati poiché servono a impedire che la pressione fiscale sfiori il 43% del Pil determinando una pesante flessione per consumi e crescita. Aumentare le tasse è come un cane che si morde la coda: il gettito sale, il Pil scende e i parametri come deficit e debito in rapporto al prodotto peggiorano.
Ora è chiaro che inserire come minimo 12-15 miliardi di ulteriore spesa per la flat tax appaia impresa ardua. Ma ne va dell'appeal elettorale ed è per questo che tanto Salvini che il suo ideatore Siri insistono perché qualcosa si scriva nel Def che pure è solo un documento i cui contenuti sono le tabelle relative al quadro macroeconomico, ma tant'è. D'altronde, anche i Cinque stelle sono in pressing su questo fronte e l'idea peregrina di una tripla aliquota si inserisce in questa cornice da competizione elettorale. Che il premier Conte asseconda. «La flat tax è nel nostro programma di governo: sicuramente dobbiamo completarlo nella prossima manovra tenendo conto del quadro di finanza pubblica», ha dichiarato. Un po' come dire tutto e niente.
Tanto vale chiarire la drammaticità della situazione. Quand'anche si scegliesse, come M5s pare adombrare, di far aumentare selettivamente parzialmente le aliquote Iva per liberare risorse per un abbassamento delle aliquote Irpef, l'effetto positivo sarebbe controbilanciato da quello dell'aumento delle tasse.
Inoltre bisogna tenere conto del fatto che, oltre ai 2 miliardi di tagli lineari alle spese ai ministeri che la Ue vorrebbe far scattare subito, ci sono 3 decimali di Pil di correzione del deficit da aggiungere per l'anno prossimo e per il 2021 che, unitamente al deterioramento dell'economia, possono aggiungersi a un'ulteriore correzione. Sono oltre 10 miliardi tra tasse o minori spese che l'Italia deve assicurare a Bruxelles. La prudenza di Giorgetti deriva da qui.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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