Giallo sul pm anti Kirchner Morto nel giorno dell'udienza

Alberto Nisman accusava la «presidenta» di avere barattato col petrolio l'immunità dei terroristi mediorientali. Era atteso in Parlamento, diceva: «Rischio di finire male»

Giallo sul pm anti Kirchner Morto nel giorno dell'udienza

Era questione di poche ore ormai. Il giorno dopo il Parlamento lo aspettava per ascoltare finalmente le prove che avrebbero messo un punto in questa brutta storia, iniziata nel 1994 con un attentato terrorista contro l'associazione ebraica Amia e peggiorata da intrighi di potere. Aveva osato tanto il procuratore Alberto Nisman, 51 anni, divorziato con due figlie. Aveva scavato, arrivando ad accusare perfino lei, la donna più potente dell'Argentina, la presidenta. Contro la Kirchner la tesi più infamante; un accordo sottobanco, un meschino baratto: l'immunità dei terroristi per il petrolio. Aveva le prove di quel che sostenva. Intercettazioni inequivocabili, un po' di giustizia ai parenti di quelle 85 persone che morirono per un'autobomba. E invece il procuratore Alberto Nisman non parlerà mai più. Domenica sera è stato trovato senza vita nel suo bell'appartamento nel più esclusivo quartiere di Buenos Aires, a Puerto Madero. A dare l'allarme era stata la madre, il telefono che squillava a vuoto già da un po', le guardie del corpo che non riuscivano a entrare, il suo cadavere che bloccava la porta d'entrata. È stata trovata una pistola, una calibro 22, ma c'è chi giura che Alberto non si sarebbe mai ucciso. Lo ripete a gran voce la madre, lo conferma la deputata Patricia Bullrich che si era sentita per telefono con Alberto. Per tre volte, e tre volte avevano parlato della maledetta inchiesta, lui si sentiva minacciato, racconta ora Patricia, che sì, certo, si rendeva conto della gravità delle accuse, che però era tranquillo e così lo aveva spiegato alla figlia di quindici anni. «Da questa storia posso uscire morto».

Buenos Aires si è svegliata profondamente turbata. La causa Amia, e la vita di Nisman, sono ora sotto la lente d'ingrandimento di tutti: dai media agli analisti ai tanti cronisti, politici e giudici che lo avevano conosciuto. Dopo aver preso la decisione di rendere pubblica la propria accusa, negli ultimi giorni aveva moltiplicato i contatti con la stampa, spiegando le ragioni di un'inchiesta sulla quale era impegnato da dieci anni. Era un fiume in piena e aveva tra l'altro riferito sulle minacce, anche di morte, alle quali era ormai abituato. Così come alle guardie del corpo, una decina in totale. Diversi sono gli aspetti chiave dell'indagine. Per esempio, la complessità di un'inchiesta su un fatto, la strage Amia, che ha ormai vent'anni, e gli intrecci nel corso degli anni con i servizi segreti, locali e non solo. E poi c'è l'altro aspetto il più delicato, quello del rapporto tra Nisman e il kirchnerismo al potere. Ad affidargli quale «pm speciale» l'inchiesta fu proprio il presidente Nestor Kichner nel 2004. Due anni di tempo e il pm chiese, e ottenne, un mandato di arresto contro numerosi pezzi grossi iraniani.

Le tracce seguite dal procuratore di Buenos Aires portavano a Teheran quale mandante intellettuale e agli Hezbollah libanesi quale braccio esecutore della strage. Poi, nel 2013 i rapporti di Nisman con la Casa Rosada fecero corto circuito. Colpa di quella firma mai chiarita, memorandum tra il governo peronista della Kirchner e la Repubblica Islamica. Secondo Nisman, il vero obiettivo di Teheran era quello di ottenere, proprio grazie all'accordo, la cancellazione degli ordini di cattura emessi dall'Interpol nei confronti di cinque ex dirigenti iraniani. L'accusa al governo argentino era quella di aver trattato l'impunità di Teheran.

Nisman aveva tra l'altro detto che dopo le accuse formali presentate nei giorni scorsi la sua vita «era cambiata»», aggiungendo non solo di «aver dovuto dire a mia figlia che su di me incomincerà ad ascoltare cose tremende» ma anche che proprio a causa dell'indagine poteva «uscire morto». Nisman aveva anche chiesto che la presidente fosse chiamata a testimoniare, forse proprio lunedì stesso, davanti alla giustizia.

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