Il gigante buono e quell'amore non corrisposto

Il sospetto del pm: "Non un delitto d'impeto, ma un piano criminale organizzato"

Il gigante buono e quell'amore non corrisposto

Piacenza - Due facce: una pubblica, una privata. In pubblico, a Carpaneto e nei paesi vicini, Massimo Sebastiani lo consideravano - fino a due settimane fa - forse un po' tocco ma non pericoloso, una sorta di gigante buono sempre pronto a dare una mano. Ma alla criminologa Roberta Bruzzone, che entra nella sua casa qualche giorno fa, si presenta l'altra faccia di Massimo: «Fa specie pensare che un essere umano potesse vivere in condizioni così indicibili. È la casa di uno schizofrenico, di uno che può fare qualunque cosa».

Ma a lei, a Elisa, Massimo aveva fatto vedere solo la sua faccia illuminata dal sole. Lei si era affezionata a quell'uomo con 18 anni più di lei, le mani come badili e il sorriso sempre pronto. Ne era nata una storia al confine dei sentimenti, dove era chiaro a tutti che lui era innamorato di lei, ma altrettanto chiaro che lei non ricambiava. Chiaro a tutti, tranne che a lui.

Così tutto va avanti per tre anni, in una routine dal doppio volto. «Elisa era la sua ragione di vita», dice pochi giorni fa la sorella della ragazza. Dall'altro fronte, dai pochi amici e familiari di Massimo, si ribatte: se Elisa non lo amava perché continuava a uscire con lui, a andarci in vacanza, insomma a illuderlo? Come se fosse un crimine avere solidarietà e affetto per un uomo senza pensare di volerci fare una famiglia e neppure avere una storia. «Fisicamente gli faceva senso», dice la sorella. Ma Elisa è andata oltre la repulsione fisica, ha voluto stare accanto a quell'uomo brutto ma buono, con la passione come lei per i boschi e per la natura.

Solo nei prossimi giorni capirà cosa si è rotto, cosa ha scatenato Sebastiani, trasformando in odio la sua finzione di amore.

Un rifiuto, una gelosia fondata o meno, o semplicemente la resa di fronte alla propria inadeguatezza? E in queste ore prende sostanza una ipotesi che già da giorni i carabinieri formulavano: che non sia stato un delitto di impeto, ma un piano criminale mediato e organizzato con calma, nel tempo. E alla fine messo in pratica.

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