Cronache

Giovane e incensurato. Preso l'ultra del Napoli che guidava l'auto killer

Accusato di omicidio volontario ha cercato di cancellare le tracce. Venti gli indagati

Giovane e incensurato. Preso l'ultra del Napoli che guidava l'auto killer

Venticinque anni: ultrà del Napoli, parente di ultrà del Napoli, pienamente inserito in quella commistione di tifo e malavita che infesta la curva del San Paolo come quelle di San Siro, dell'Olimpico, dell'Allianz Stadium. É lui il primo a venire accusato formalmente di omicidio volontario per la morte di Daniele Berardinelli, schiacciato da un'auto all'inizio degli scontri del 26 dicembre. ll nome del 25enne è stato iscritto ieri mattina nel registro degli indagati con l'accusa di omicidio volontario. Per ora resta a piede libero, ma in questo momento è sua la posizione più pesante tra i molti ultras di entrambe le fazioni (si parla di una ventina di nomi) già identificati e indagati.

C'era lui, secondo la Procura, sulla Volvo V40 nera intestata a una società di leasing che il 26 dicembre era in via Novara, nel corteo di van carico di tifosi napoletani, e che si lancia verso gli interisti. A bordo, oltre al giovane ultrà, lo zio e altri due tifosi azzurri. Non c'è, per adesso, la certezza che sia la Volvo a investire Belardinelli, e questo è l'unico motivo per cui Il 25enne non è stato arrestato. Ma l'identikit corrisponde e se i rilievi della Scientifica sul paraurti della vettura dovessero rilevare tracce dell'impatto con l'uomo il cerchio si chiuderebbe.

Di fatto, il tiro dell'indagine si sta spostando progressivamente sull'episodio più grave, la morte di Belardinelli.

Il contesto in cui è maturata, ovvero la spedizione punitiva organizzata dai capi della curva dell'Inter con l'appoggio di ultras del Varese e del Nizza, resta sullo sfondo: la Procura si ripromette di chiarirne le dinamiche e le responsabilità, e non è detto che l'inchiesta non si allarghi all'intero tema della commistione tra tifo, criminalità e politica nella Nord di San Siro. Ma per ora si scava soprattutto sulla morte di Belardinelli, e qui i napoletani da vittime diventano i potenziali colpevoli. Ieri, nel carcere di San Vittore, è stato interrogato nuovamente Luca Da Ros, l'ultras nerazzurro che fin dall'inizio ha scelto di collaborare con le indagini e che oggi potrebbe tornare libero (la Procura ha già dato parere favorevole).

Della pianificazione dell'attacco Da Ros ha detto di non sapere nulla: «D'altronde il direttivo della curva funziona come una camera stagna, lui è troppo giovane per conoscere determinati nomi», ha spiegato il suo difensore Alberto Tucci. I pm non hanno insistito. E Da Ros ha descritto soprattutto le fasi dell'investimento di Belardinelli: «Un auto si era spostata alla colonna e si era portata sulla sinistra». Dice di non avere visto il momento dell'impatto ma di avere assistito da vicino alla consegna del ferito agli interisti: «Tre napoletani a viso scoperto lo hanno portato ai tifosi dell'Inter», racconta l'avvocato Tucci. L'accusa di omicidio volontario è pesante, e non sarà facile per la Procura portarla avanti fino alla fine: perché non ci sono filmati chiari, le testimonianze sono contrastanti, e non tutte dicono che Belardinelli è stato investito apposta. Ma per adesso la linea degli inquirenti è questa, e mette il 25enne della V40 in una posizione difficile.

Continuare a negare tutto, come ha quando ha sostenuto addirittura di non essere stato a Milano? O cercare di limitare i danni, ammettendo qualcosa ma sostenendo di non essere stato alla guida della Volvo? Di sicuro c'è che è scappato, e questo non depone a suo favore.

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