«Il giudice condanna me, non chi mi stuprò»

Firenze Ha affidato a un blog le parole che ai giudici non ha mai avuto occasione di dire. Ai magistrati della Corte d'Appello che hanno assolto i sei ragazzi che nel 2008 la violentarono a Firenze, quella ragazza ha rivolto un j'accuse pesantissimo. «Avete giudicato me e la mia condotta di vita, non lo stupro che ho subito». A pochi giorni dalla pubblicazione delle motivazioni della sentenza di assoluzione per i giovani – un pronunciamento che ha rovesciato la condanna a 4 anni e mezzo per violenza sessuale di gruppo – la vittima è uscita allo scoperto per raccontare la sua verità. Non si è rivolta ai suoi coetanei che 7 anni fa approfittarono del suo stato di ubriachezza per abusarne, ma a chi quell'episodio lo ha definito «penalmente non censurabile». Nel blog, la ragazza racconta gli anni vissuti sotto choc, imbottita di psicofarmaci e costretta a convivere con attacchi di panico e incubi ricorrenti, fino al tentativo di suicidio. Una violenza che non è finita quella drammatica notte, ma è continuata con gli interrogatori e quelle 19 ore di processo «in cui è stata dissezionata la mia vita, dal tipo di mutande che porto al perché mi ritengo bisessuale». La Corte d'Appello di Firenze ha parlato di una «vicenda incresciosa» e «non encomiabile per nessuno». Tuttavia i giudici hanno posto l'accento sul suo «discutibile momento di debolezza e fragilità», che sarebbe stato alla base dello stupro.

Il rapporto avvenne all'interno di un'auto parcheggiata vicino alla Fortezza da Basso, dopo una festa. All'epoca del fatti gli imputati, tutti italiani, avevano fra i 20 e i 25 anni, la ragazza 23. In primo grado, il gruppo venne condannato per aver abusato delle condizioni di inferiorità psichica e fisica della ragazza. Secondo i giudici d'Appello, invece, il comportamento della giovane fa «supporre che, se anche non sobria» fosse almeno «presente a se stessa». Riferendosi al rapporto, la Corte ha parlato di una «iniziativa di gruppo comunque non ostacolata»: in altre parole i giudici hanno ritenuto che i ragazzi possano aver «mal interpretato» la disponibilità della ragazza.

Ma lei non ci sta, e passa al contrattacco: «Ogni volta che cerco di recuperare la mia vita, di reagire e andare avanti – scrive - c'è sempre qualcosa che torna a ricordarmi che sono stata stuprata e non sarò mai più la stessa. Dopo aver lavorato su me stessa, cercato di elaborare il trauma, espulso i sensi di colpa e il fatto di sentirmi sbagliata, sporca, colpevole, eccomi catapultata di nuovo in strada, nel centro antiviolenza, nell'aula di tribunale. La memoria è una brutta bestia, il corpo sa tutto». L'accusa è per i giudici: «Mi è stato detto che ho una condotta sregolata, una vita non lineare, una sessualità confusa, che sono un soggetto provocatorio, esibizionista, eccessivo, borderline. Perché sono bisessuale, femminista e attivista Lgbt. Per essere creduta come vittima di uno stupro non bastano referti medici, psichiatrici, testimonianze, prove del Dna ma conta solo il numero di persone con cui sei andata a letto prima che succedesse, o che tipo di biancheria porti, se usi i tacchi, se hai mai baciato una ragazza».

La presidente di Telefono Rosa, Maria Gabriella Moscatelli, ha scritto al ministro della Giustizia Andrea Orlando e al presidente della Repubblica Sergio Mattarella per capire le motivazioni «di una sentenza aberrante, un giudizio che ci riporta indietro di un secolo».

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