"Giudice di pace ma invalida. Ora lo Stato mi umilia così"

Colpita da poliomielite fin da bimba, si faceva aiutare dalla madre. Il tribunale di Napoli ordina: "Stia sola"

"Giudice di pace ma invalida. Ora lo Stato mi umilia così"

In questi giorni - che coincidono col momento più basso per il prestigio della magistratura - da Napoli arriva la storia, assurda, di una giudice di pace penalizzata dalla presidenza del tribunale in quanto vittima, fin da bambina, di una gravissima disabilità agli arti inferiori che non le consente di muoversi autonomamente.

Nonostante ciò Anna Maria Reale, 68 anni, avvocato, ex vicepretore, da 17 anni giudice di pace nel capoluogo campano, ha sempre svolto il proprio lavoro con professionalità, correttezza e impegno davvero esemplari: circostanza documentata anche da una petizione di solidarietà firmata da decine di colleghi della dottoressa Reale.

Ma allora qual è il motivo della «punizione» che i vertici del tribunale hanno deciso di adottare?

La ragione sembra assurda, invece è drammaticamente vera. Ad Anna Maria Reale è stato infatti proibito di far entrare in ufficio sua madre, l'unica che può aiutarla nel sopperire all'importante deficit motorio provocato dalla poliomielite. Un'invalidità che - com'è facile immaginare - non consente alla giudice di compiere varie azioni (prendere fascicoli, spostare il carrello con le pratiche, fare fotocopie, spostarsi da una stanza all'altra, andare in bagno) senza le stampelle e una persona che le stia accanto; da sempre questa «persona» è, per la dottoressa Reale, sua madre: una donna generosa, 90enne, che per tutta l'esistenza non ha mai smesso di stare a fianco della figlia.

Dottoressa Reale, ma qual è la ratio di un provvedimento tanto incredibile. Perché il presidente del tribunale ha inibito l'accesso in ufficio a sua madre?

«Ho chiesto di parlare con il presidente, ma non è stato possibile. So solo che la sua decisione è maturata a seguito di un esposto anonimo in cui si ipotizza che mia mamma svolga illegittimamente funzioni di cancelliere. Una bugia assoluta».

Nella «Caserma Garibaldi», dove presta servizio, le hanno mostrato solidarietà?

«Certo. Tutti hanno compreso che questa punizione non ha senso».

Eppure lei, da oggi, non ha più sua madre affianco, ma è stata costretta a ricorrere a un'estranea.

«È vero. Ho deciso di rispettare il provvedimento del presidente. Ma non mi rassegno. È giusto che l'opinione pubblica conosca questa vicenda che, al di là del fatto personale, è emblematica di come vanno certe cose nel nostro Paese».

Ma lei che idea si è fatta? Cosa c'è dietro questa che pare una ritorsione priva di senso?

«Non escludo che l'esposto contro di me possa essere la conseguenza di una mia sentenza poco gradita».

Ma a un verdetto «sgradito» si risponde con l'appello, non con un esposto anonimo.

«Dovrebbe essere così, ma nel mio caso, forse, qualcuno ha deciso di adottare una strada diversa».

Sia sincera, questa storia le ha tolto serenità?

«Anche se sono un giudice non di ruolo, sento il peso delle cause su cui sono chiamata a decidere. Per me la serenità di giudizio è fondamentale. E devo confessare che questa vicenda mi ha molto amareggiata».

Lei ha al suo attivo otre 35 anni di lavoro, migliaia di verdetti depositati, altrettante udienze presiedute. Non si aspettava di chiudere la carriera in questo modo?

«Mi sento umiliata e tradita dallo Stato che ho sempre servito con passione e diligenza. A settembre andrò in pensione. Speravo di brindare in tribunale, con tutti i colleghi e alla presenza di mia madre».

Invece con sua madre dovrà festeggiare a casa. Ma non è detta l'ultima parola. Magari per sistemare la questione basterebbe un intervento del ministro della Giustizia.

«Ci spero tanto, ma ci credo poco».

E se invece le telefonasse il presidente Mattarella?

«Sarebbe un onore. Lui è un grande uomo».

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