In nome del popolo italiano. Dimezzato. Sì, perché gli ultrasessantacinquenni non possono essere nominati giudici popolari. E dunque non possono far parte delle giurie che emettono i verdetti in corte d'Assise. La legge, la 287 del 1951, parla chiaro: 65 anni è l'età massima per entrare in camera di consiglio. Poi il cittadino perde questa chance e il collegio deve fare a meno di lui. Finora. Perché un avvocato di Milano, il penalista Ermanno Gorpia, difensore fra l'altro di Renato Vallanzasca, sostiene che la norma potrebbe essere incostituzionale e per questo ha sollevato in un processo di mafia un'eccezione di legittimità. Toccherà ora al giudice Renato Bricchetti valutare il peso specifico della questione ed eventualmente girarla alla Corte costituzionale.
Secondo Gorpia la legge è illogica e irrazionale, ma soprattutto viola la Costituzione laddove toglie a migliaia e migliaia di italiani un diritto così importante. In realtà, la norma, antiquata e scritta in un italiano arcaico, è figlia di un'altra epoca: «Non si è creduto di elevare il massimo otre i 65 anni perché si tratta di affidare a persone non adusate alla funzione del giudice un lavoro senza dubbio assai gravoso». È evidente che queste parole oggi non hanno più alcun senso, se mai l'hanno avuto, per il semplice fatto che la vita media si è allungata e si parla tranquillamente di quarta età.
Ma analizzando la questione più in profondità, Gorpia sostiene che il tetto dei 65 anni è una ghigliottina che fa a pezzi i diritti politici del cittadino con i capelli bianchi. Destino schizofrenico: per uno dei tanti paradossi di un sistema non armonizzato, a 65 anni e 1 giorno il cittadino non può stressarsi in camera di consiglio ma della giuria potrebbe tranquillamente far parte come giudice togato - in congedo a 70 anni - e in corte d'Assise può perorare la causa di un imputato o di una vittima, come avvocato difensore o legale di parte civile.
Insomma, Gorpia, che ha consegnato alla cancelleria della corte d'Assise d'Appello un robusto dossier, sostiene che la legge del 1951 fa a pugni con l'articolo 3 che fissa l'uguaglianza dei cittadini davanti alla legge, ma anche un altro principio cardine del nostro diritto: quello del giudice naturale.
Non basta ancora, perché la norma amputerebbe pure i diritti politici del cittadino, tutelati dall'articolo 51 della nostra carta fondamentale. Ma c'è dell'altro. Gorpia, incuriosito dal tema, è andato a studiarsi e i criteri con cui vengono formate le giurie popolari e ha scoperto crepe e buchi pure su questo versante, assai concreto. Nella prassi comune non si rispetta nemmeno la norma che pure, come si è visto, fa acqua da tutte le parti. In realtà le corti vengono composte secondo procedure discrezionali e per nulla trasparenti, con un mix arbitrario fra cittadini volontari e cittadini sorteggiati. Cosi nella realtà quotidiana verrebbe meno il principio cardine del giudice naturale, già aggirato dalla legge che mette fuori gioco le persone anziane.
In realtà negli elenchi, da cui pescare poi i rappresentanti del popolo italiano, dovrebbero essere iscritti d'ufficio tutti i cittadini che, come recita la legge 287, abbiano i requisiti: la cittadinanza italiana; la buona condotta morale; l'età compresa fra i 30 e i 65 anni; la terza media che diventa un diploma superiore in corte d'Assise d'Appello. E invece gli albi sono, come dire, corti e comprendono poche persone in rapporto alla popolazione.
Per fare un esempio il bacino in cui sono stati scelti a Bergamo i giudici popolari del processo Bossetti è composto da 5mila persone contro una lista teorica molto più ampia.
E a Capaci, nome tristemente famoso per la strage in cui morì Giovanni Falcone, i potenziali giudici popolari si contano sulle dita di due mani. Qualcosa non quadra. E ora sono a rischio i processi e la norma stessa che li regola.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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