Da giornalista ho imparato a diffidare delle semplificazioni, pur facendone largo uso quando scrivo. Da genitore, sono costretto ad abusarne. Semplificando, diciamo che prima dei 10-12 anni (sto parlando di figli maschi, come i miei) il problema è riportarli a casa dai campetti di calcio, dove starebbero tutto il giorno. Dopo i 12, il problema è convincerli ad uscire. Perché all'interno dell'ambiente domestico - è scientifico - qualsiasi diversivo alla PlayStation è perdente. Se c'è, verrà usata, sempre di più, fino a quando il divertimento diventa mania. Il punto è capire quando ci si sta arrivando, e come fermarsi prima. Il punto non è la PlayStation in sé, naturalmente. Tutti sanno che il livello di creatività raggiunto dai videogiochi (industria su cui si investe più che nel cinema) è altissimo. Il problema è la quantità - non diremo la «dose» - consentita (e vale per ogni cosa: anche leggere o studiare più di un certo numero di ore, per un adolescente, è dannoso). Quindi? Qual è il confine? Un'ora? Due? Tre ore sono già dipendenza? Per i ragazzi neppure quattro lo sono. La soglia, secondo la loro percezione del pericolo, è sempre più in là. Al di qua, rimane soltanto la cattiveria di noi genitori. Quella che ci obbliga a porre un limite, a non cedere alle impuntature, a dire basta anche senza spiegazioni (che peraltro non verrebbero ascoltate).
Ma soprattutto resta la volontà - succede quando affittiamo la PlayStation come un parcheggio per figli con i quali non abbiamo voglia di passare il tempo - di rinunciare alla pigrizia. Che è la dipendenza cui noi padri cediamo più volentieri.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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