La giustizia lenta e criminale libera lo stupratore di bimbe

Scatta la prescrizione, in primo grado prese 12 anni Le responsabilità nel tribunale che Renzi portò a esempio

La giustizia lenta e criminale libera lo stupratore di bimbe

Bisogna prendere esempio dal tribunale di Torino, twittava Matteo Renzi alle 6,57 del 28 agosto 2014. Bell'esempio, viene da dire adesso. Perché proprio dal palazzo di giustizia indicato dall'ex premier come modello di efficienza arriva una notizia di quelle difficili da digerire. Uno stupratore di bambine la farà franca: perché la Corte d'appello di Torino non è riuscita in dieci anni a celebrare il processo contro di lui. Così l'altro ieri, quando il processo si è finalmente aperto, il giudice non ha potuto fare altro che dichiarare prescritto il reato. I dodici anni di carcere inflitti in primo grado svaniscono nel nulla. L'unico aspetto positivo è che l'uomo è in galera per reati comuni. Ma tra poco tornerà libero. E delle violenze e delle sevizie inflitte a una bimba di nove anni che viveva con lui, figlia della sua compagna, non risponderà mai.

Dopo che la notizia, resa nota ieri da Repubblica, è piombata a Roma, il ministro della Giustizia ha annunciato l'apertura di una inchiesta interna: resa però imbarazzante dal fatto che a presiedere la Corte d'appello di Torino dal 2009 al 2014, negli anni cruciali di questa vicenda, quelli in cui il fascicolo per stupro languiva in chissà quale cassetto, era proprio Mario Barbuto, il giudice che Orlando ha voluto al ministero per rendere efficiente la giustizia italiana, sull'onda dei «successi» della sua gestione torinese. E, secondo quanto risulta al Giornale, questo non è il solo processo per stupro che a Torino dorme.

Ora Barbuto è in pensione. I nuovi capi degli uffici torinesi si mostrano costernati: «È un'ingiustizia per tutti», dice il presidente della Corte d'appello Arturo Soprano; «siamo desolati, chiediamo scusa», dice il procuratore generale Francesco Saluzzo. Ma lo stesso Saluzzo rende noto che nella Corte d'appello indicata da Matteo Renzi come «modello» la situazione è «spaventosa», ventimila processi giacciono in attesa di venire fissati, con la certezza che buona parte finiranno prescritti. Riparte la consueta lagnanza sulle leggi che andrebbero cambiate, «non si può continuare così». Ma è chiaro che nessuna legge, nessuna carenza di personale può giustificare la follia di un processo che in vent'anni non riesce a terminare.

Eh sì, perché i dieci anni in cui il fascicolo giace in stato colliquativo nei cassetti della Corte d'appello di Torino sono stati preceduti da altri dieci anni in cui il caso del pedofilo di Ovada si era trascinato tra indagini preliminari, errori procedurali, accuse cadute e poi rispolverate. L'uomo, Andrea Lombardozzi, viene arrestato nel 1997, accusato di maltrattamenti orribili ai danni dei due bambini della sua donna: ingiuriati, picchiati, chiusi in un armadio, costretti a frustarsi a vicenda. Il processo impiega sette anni, e nel corso delle udienze, nel 2004, salta fuori che c'è di peggio: lo stupro della bambina. Lombardozzi, che nel frattempo sta scontando la condanna a cinque anni di carcere per i maltrattamenti, viene nuovamente incriminato, e questo è l'unico passaggio di accettabile celerità: nel 2007 viene condannato a dodici anni per violenza carnale. Il tribunale di Alessandria esce di scena, le carte passano a Torino per l'appello. Nebbia. Dieci anni di nebbia.

Quando il nuovo avvocato di Lombardozzi, il genovese Claudio Zadra, riceve l'avviso del processo d'appello, data 20 febbraio 2017, si rende conto subito che è un processo già sepolto dallo scorrere del tempo: «E a quel punto - spiega Zadra - ho fatto l'unica cosa che come difensore, impegnato in una difesa tecnica, potevo fare: e ho fatto valere la prescrizione». Il difensore ha fatto il suo dovere. Ma la stessa, palmare evidenza che le accuse di violenza contro Lombardozzi riguardavano fatti del 1997 era a disposizione di chiunque si fosse preso la briga di consultare il fascicolo: bastava la copertina, senza neanche affannarsi a leggere gli atti.

Ma nessuno, nella Corte d'appello di Torino, lo ha fatto. Nessuno, nella Procura generale del capoluogo, ha segnalato che il tempo a disposizione stava per finire. La vittima oggi ha ventisette anni, e di questo processo non ha mai voluto sapere niente. Meglio così.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica