Il governo alla finestra spinge per la rete unica con Cdp ed Enel

Tim è un'azienda privata, ma l'esecutivo gialloverde non rinuncia al suo dirigismo

Il governo alla finestra spinge per la rete unica con Cdp ed Enel

L'ennesimo ribaltone al vertice di Tim si è svolto senza che il mondo politico recitasse un ruolo da protagonista. Era stato così per la defenestrazione di Flavio Cattaneo, inviso a Matteo Renzi quand'era nella «stanza dei bottoni» e anche l'aperta ostilità di Romano Prodi a Marco Tronchetti Provera fu determinante per il passaggio del principale operatore tlc italiano dalla sfera d'influenza di Pirelli a quella degli spagnoli di Telefónica.

Ieri, invece, il governo è rimasto pressoché silente anche se tutto questo non comporta la sua neutralità che non è nemmeno nei fatti. Il primo e l'unico a parlare è stato il sottosegretario agli Affari regionali, Stefano Buffagni (alter ego in ambito finanziario del vicepremier Luigi Di Maio). «Gli scontri fra azionisti creano solo danni per tutti e questo vale in tutti i settori», ha dichiarato aggiungendo che l'esecutivo «non vuole fare la rete unica» ma vuole solo «creare le condizioni normative per portare l'Italia nel futuro e che si vada tutti sulla fibra ottica».

Una precisazione non superflua in quanto è sull'ipotesi di creare un player unico nella banda larga tra Tim e Open Fiber che si è creata una delle ultime frizioni tra l'ad uscente Amos Genish e il fondo Elliott, spalleggiato dalla Cassa Depositi e Prestiti, che in quanto detentrice del 50% di Open Fiber (l'altro 50% è di Enel), ha sempre visto di buon occhio l'alleanza. E non sono state poche le voci fuori e dentro il Palazzo a riferire dell'irritazione del ministro dello Sviluppo Di Maio alle puntualizzazione dell'ormai ex top manager.

Si può paragonare il governo giallo-verde ai suoi predecessori per velleità dirigistiche su quella che è, a tutti gli effetti, una società interamente privata sebbene di interesse strategico in quanto detentrice della rete telefonica? La risposta non può che essere affermativa sebbene Di Maio (titolare del dossier) non abbia mostrato la stessa protervia di Prodi il cui braccio destro Angelo Rovati arrivò a disegnare a tavolino uno schema di separazione della rete dalla ex Telecom. Il predecessore di Di Maio, Carlo Calenda, esercitò addirittura il golden power per limitare la libertà d'azione di Vivendi considerati anche i problemi di reciprocità in ambito finanziario tra Italia e Francia. L'obiettivo del vicepremier è però il medesimo, sebbene sia mascherato dal nobile intento ribadito a Buffagni, cioè «fibra ottica per tutti». Sarebbe sempre la Cassa Depositi e Prestiti a intervenire nel nuovo assetto così come è stata la Cdp a risultare determinante nel cda di ieri.

Restano fra parentesi due contraddizioni che caratterizzano questa vicenda. In primo luogo la Cdp, al di là della missione di sviluppo delle reti che le è stata affidata, ha già perso oltre 300 milioni di euro investendo nel 4,93% di Tim.

Anche se la polemica ha ormai assunto registri stucchevoli (di volta in volta si ricorda il ruolo di Cdp di collettore del risparmio postale), il governo e il ministro dell'Economia, Giovanni Tria, in questi mesi hanno scientemente evitato di chiarire limiti e funzioni dell'intervento pubblico in economia e il caso Fs-Alitalia è solo l'ultimo episodio. Analogamente, la diatriba attuale si svolge con una Consob, l'autorità di controllo sulla borsa, lasciata acefala da un esecutivo che non ha ancora trovato la quadra su come spartirsi l'ennesima poltrona.

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