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"Il governo ha sbagliato con spending e bonus Ora investa sull'edilizia"

L'economista Piga boccia la politica economica dell'esecutivo. La ricetta: "Destinare fondi alla domanda di beni e servizi e anche alle imprese"

"Il governo ha sbagliato con spending e bonus Ora investa sull'edilizia"

Roma«Dare reddito di cittadinanza senza riconoscere dignità al lavoro non ha senso». La politica dei trasferimenti pubblici, a partire dal bonus da 80 euro fino alle ipotesi di sostegno ai redditi bassi, è priva di significato se non si inserisce in un completo ridisegno della macchina pubblica, cioè di una chiara spending review , quella che Matteo Renzi ha sistematicamente evitato. Parola di Gustavo Piga, ordinario di Economia politica all'Università di Tor Vergata a Roma. Anche il pasticcio delle pensioni, secondo l'economista neokeynesiano, è frutto dell'improvvisazione con la quale vengono gestite le politiche economiche pubbliche. Il vero nemico della ripresa? Il fiscal compact .

Professor Piga, perché le politiche economiche del governo sono criticabili?

«Il bonus è stato chiaramente un fallimento perché è stato percepito come un sussidio temporaneo e non strutturale. Un tentativo sbagliato di usare risorse preziose. La gente quando dispone di queste somme aggiuntive le utilizza per risparmiare e premunirsi in vista dei tempi di magra. L'unica economista che ne sostiene l'utilità è la ex consulente del presidente Obama, Christina Romer, secondo cui se ne avvantaggerebbero soprattutto i pensionati. A questo capitolo ha già pensato la sentenza della Consulta».

Cosa dovrebbe fare uno stato «intelligente»?

«Bisogna promuovere i consumi e fare investimenti. Insomma, bisogna garantire che quei soldi siano destinati alla domanda di beni e servizi e anche alle imprese. Ma per fare questo è necessaria una spending review seria, ossia servono strumenti per tagliare gli sprechi. Una manovra che Renzi si è rifiutato di effettuare tagliando a casaccio».

Eppure il governo Renzi ha un profilo riformista.

«Quando si ha un malato con un'emorragia bisogna metterlo in condizione di sopravvivere fermando la fuoriuscita di sangue. Le riforme necessitano di tempo per essere efficaci. Ecco perché, mentre si avvia un percorso virtuoso, si può mettere in sicurezza l'economia con interventi appropriati».

Che cosa servirebbe?

«Bisogna uscire dalla logica del fiscal compact . Invece Renzi ha promesso innanzitutto che terrà il deficit sotto controllo e che nel tempo conseguirà il pareggio di bilancio. Se l'Italia mantenesse costantemente un deficit/Pil al 3%, libererebbe 10 miliardi l'anno per gli investimenti, tipo quelli per l'edilizia scolastica».

Uno Stato interventista?

«Stiamo parlando dell'edilizia che ha perso 7-800mila posti di lavoro dal 2008. Questo già porterebbe l'economia a rimettersi in moto».

Ma il governo deve pensare a come trovare le risorse per pagare il blocco della perequazione dei trattamenti pensionistici.

«La deindicizzazione è un metodo applicato a tutto il settore pubblico. Vale anche per l'università, la polizia e altri comparti importanti. È l'emblema di uno Stato che non ha priorità di intervento, dello Stato che fa i tagli dell'ultimo minuto nella legge di Stabilità, che non sa dove individuare gli sprechi, che non riesce a individuare professionalità serie nelle stazioni appaltanti. Se ci si regolasse in questa direzione, la Consulta non interverrebbe».

Generalmente Stato e mercato sono antitetici.

«Perché prevale la generalizzazione secondo cui lo Stato è sinonimo di inefficienza, ma gli investimenti pubblici servono anche al settore privato. Solo che questa politica e questo governo non parlano di investimenti ma di trasferimenti».

Trasferimenti come gli interventi anti-povertà o il «reddito di cittadinanza»?

«Dare reddito di cittadinanza senza riconoscere dignità al lavoro non ha senso: rischia di diventare uno sforzo inutile. Noi avevamo proposto un salario minimo di mille euro netti al mese per due anni per lavorare all'interno della Pubblica amministrazione. Una sorta di servizio militare per due anni aiuterebbe quei giovani senza lavoro che, restando fuori dai processi produttivi, non si adoperano per formarsi e si disperdono.

Invece, in questo modo si terrebbero “caldi” per eventuali nuove proposte».

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