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Governo alla prova fiducia. Ma la squadra già traballa

La Lega ha dubbi sul vice ministro in pectore Bagnai Crollano le quotazioni di Di Stefano: troppo anti Ue

Governo alla prova fiducia. Ma la squadra già traballa

Pronti, via: oggi si vota la fiducia al governo Conte, e già uno dei più gettonati aspiranti vice-ministri del suo governo rischia di schiantarsi alla prima curva. Succede ad Alberto Bagnai, fantasioso economista leghista che doveva andare a presidiare il «tecnico» Tria a via XX Settembre, ma che ieri è incorso in un incidente: ha in pratica annunciato che della flat tax, cavallo di battaglia di tutta la campagna elettorale del Carroccio, non si parlerà per almeno due anni. Prima del 2020, nisba: «Su questo c'è un accordo già fatto», confida in tv.

Patatrac: subito i leghisti accorrono a buttare acqua sul fuoco smentendolo, e assicurando che le tasse si appiattiranno ben prima del 2020. Ma raccontano che Salvini, furente con il candido prof che ha gettato nel panico il suo elettorato, abbia dato ordine di segarlo. Caso Bagnai a parte, il grande suk del sottogoverno è in pieno svolgimento. I posti sono tanti (43, di cui 25 per i grillini e 18 per i leghisti) ma gli appetiti sono molti di più. Un altro che rischia di veder infranti i suoi sogni è Manlio Di Stefano: il globe-trotter grillino già si vedeva alla Farnesina, al punto di aver assicurato ad amici e parenti che - se non ministro - almeno vice lo sarebbe stato di certo. Ma è bastata un'occhiata al suo curriculum, alle sue dichiarazioni (pro-Assad, pro-Hamas, pro-Putin, pro-Chavez, anti-Israele, anti-Usa, anti-Europa eccetera) e alle sue frequentazioni internazionali per mettere in allarme esperti, diplomatici e cancellerie. In molti hanno sconsigliato una scelta tanto sconsiderata: così sono tornate a salire le quotazioni della ex fanta-ministra degli Esteri di Di Maio, Manuela Del Re. Non sarà il massimo, si sarà pure inventata un dottorato mai conseguito da mettere in curriculum (del resto, nel governo di un fan dei curriculum col ritocco come Giuseppe Conte questo non è certo un titolo di demerito), ma se non altro non è tifosa di tutti i peggiori satrapi del pianeta. Che si sappia, almeno.

Ancora irrisolti i due principali nodi dello scontro Lega-Cinque Stelle: le Telecomunicazioni e i Servizi. Poltrone che contano moltissimo, in termini di potere reale, e che il partito grillino vuole assolutamente avere in portafoglio. La prima resterebbe al Mise di Di Maio, ma la delega verrebbe poi affidata al fidato commercialista Buffagni, che già si sta occupando attivamente delle nomine in Rai e nelle partecipate, preparando la presa del potere reale del partito della Casaleggio. La seconda verrebbe affidata al fidato (per il M5s) Vito Crimi, che però non viene ritenuto dai più adattissimo ad un simile lavoro di concetto. La Lega si oppone con furore all'occupazione del potere grillina, e vuole i Servizi per il più brillante Giorgetti e le Tlc per Siri. C'è poi il problema di trovare bravi sottosegretari da affiancare a ministri inesperti: ad esempio, qualcuno che almeno sappia cosa sono le Infrastrutture da mettere a presidio di Danilo Toninelli. E c'è il problema dei (finti) ministri annunciati da Di Maio, che ora reclamano un risarcimento: dal geologo Coltorti all'economista Fioravanti, che vuole andare al Mise.

Alla Giustizia, intanto, i pm da prime-time puntano a blindare il neo-ministro Bonafede: dal davighiano Pepe capo-gabinetto a Nino Di Matteo che vuole un posto da capo-dipartimento.

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