Il governo stanga i consumi Iva anticipata ai supermarket

L'idea è un ritorno alla "reverse charge" che uccide i grandi centri commerciali senza colpire l'evasione

Il governo stanga i consumi Iva anticipata ai supermarket

Dalle parti del governo il problema si pone in questi termini: come spremere l'Iva senza che nessuno se ne accorga e trovare una parte dei soldi necessari per la manovra da 3,4 miliardi che ci chiede l'Europa? Anche ieri l'aumento dell'imposta indiretta che si paga su beni e servizi ha tenuto banco, con l'ex premier Matteo Renzi impegnato ad assicurare che non ci sarà aumento. Ma nelle stanze dei tecnici dell'esecutivo continuano le simulazioni della manovra che, come tradizione dei governi di transizione, si concentra sulle tasse. L'idea forte emersa è un ritorno allargato della reverse charge. Cioè il pagamento anticipato dell'imposta quando la transazione è tra due partite Iva (non vale per il consumatore).

Meccanismo già adottato a settori ad alto sospetto di evasione Iva: compravendita auto, elettronica, oro e persino ai videogiochi. Il governo nel 2015 provò ad allargare alla Grande distribuzione organizzata. Un piatto ricchissimo che vale 728 milioni di euro.

Peccato che adottare il pagamento anticipato dell'Iva a carico del compratore significa sottrarre la stessa cifra alla liquidità dei supermercati e altri grandi esercizi commerciali. Peccato anche che il reverse charge sia una misura tesa al recupero dell'evasione in un settore, dove è praticamente assente. Per questo motivo la Commissione bocciò la sua applicazione alla Gdo. Ma ora la ricetta torna di attualità, nella speranza che l'Ue la faccia passare.

Dalle parti del ministero dell'Economia si prendono in considerazioni misure che non facciano rumore. Ieri Pier Carlo Padoan ha incontrato il premier Gentiloni e hanno deciso di non fare nessuna «manovra estemporanea», ma scelte coerenti con la politica economica di Renzi e «strategie di lungo periodo».

La lotta all'evasione resta la risposta giusta. Peccato, spiega il responsabile politiche fiscali di Confcommercio Vincenzo De Luca, che l'allargamento della reverse charge rientri in questa categoria e «significhi aumentare ancora una volta gli adempimenti fiscali a carico dei contribuenti». Un po' come è già successo con la comunicazione trimestrale delle fatture che ha fatto infuriare i commercialisti e i contribuenti. «Altri otto adempimenti non servono per rilanciare l'economia. Bisogna semmai pensare a sterilizzare definitivamente le clausole di salvaguardi», aggiunge De Luca.

Perché l'idea di un aumento fino a ieri non aveva ancora abbandonato il governo, perlomeno nella componente tecnica. A regime, è previsto un aumento dal 22 al 25% dell'aliquota ordinaria nel 2018 e un ulteriore 0,9 nel 2019. Ma basterebbe un punto di Iva ordinaria da subito per correggere il deficit dello 0,2%. Si sta affacciando anche un'altra ipotesi, quello di aumentare solo le aliquote agevolate, quella al 4% e quella intermedia del 10%. Per fare la manovra basterebbe aumentare quest'ultima di due punti.

Materia delicatissima. L'incontro di ieri sembra escludere scelte di questo tenore.

La scadenza per la risposta italiana è domani, ma non è detto che l'esecutivo ce la faccia. Ieri alla Commissione non era arrivata nessuna richiesta di rinvio, ma il governo vorrebbe continuare a oltranza la trattativa anche oggi.

Sul lato politico, ieri c'è stata anche la replica di Pierre Moscovici a Renzi, che aveva parlato di «letterine ridicole» dall'Ue. Sono lettere previste dalle «regole comuni». E poi: «Abbiamo con l'Italia un dialogo estremamente positivo». Come dire, meglio questo governo del precedente.

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