Per una volta tocca dare ragione a un grillino. «Prevedo che Leu prenderà tante sberle», ha sentenziato infatti l'altro giorno Alessandro Di Battista. E subito una, molto forte, gliel'ha tirata Romano Prodi: «Liberi e uguali non è per l'unità del centrosinistra. Il Pd, Renzi e il gruppo che gli sta attorno e gli alleati che hanno stretto accordi, lo sono». Bersani e D'Alema se la sono presa, ma a bruciare di più è la guancia di Pietro Grasso, spiazzato e completamente delegittimato dalle parole taglienti del fondatore dell'Ulivo. «Dove va senza unità e senza una coalizione?», si è chiesto ancora il Professore.
Già, dove va? E soprattutto, chi comanda? Per ora il presidente uscente del Senato cerca di galleggiare, di resistere al vertice di un gruppo sull'orlo di una crisi di nervi e di numeri percentuali, diviso nelle idee politiche e nelle ambizioni personali. A un mese dalle elezioni, scelto come punto di mediazione tra le varie anime di Leu, Grasso fatica ad affermare la sua leadership. È un generale stretto, quasi soffocato dai tanti colonnelli ambiziosi e certo più abili e manovrieri di lui. Voleva essere il Corbyn italiano, o forse il Sanders o quanto meno il Mélenchon, ma i sondaggi sono deprimenti, l'effetto novità è già evaporato e lui rischia un precoce anonimato.
Si è visto nella compilazione delle liste, una partita nella quale non ha toccato palla. Fuori gioco sulla scelta dei candidati, Grasso stesso ha dato l'impressione di non sapere dove presentarsi, di voler evitare le sfide dirette con gli altri leader di partito. Alla fine ha optato per un porto sicuro, la sua Palermo. «Ci ho messo la faccia», ha spiegato.
Il problema è che l'ex presidente del Senato non tira, non scalda i cuori della sinistra, non è un trascinatore di folle, non ha l'oratoria da comizio. E siccome non ha nemmeno molte truppe, i suoi compagni di viaggio non hanno faticato a tenerlo ai margini.
Lo schiaffo di Prodi infatti non è stato l'unico che ha preso. Già dai giorni del varo del partito, nato dalla fusione fredda tra Sinistra italiana, Possibile di Pippo Civati e gli scissionisti del Pd, Grasso appariva solo il padre nobile, il presidente di facciata. Gli uomini forti erano altri. Pierluigi Bersani, propenso ad aprire una linea di dialogo dopo il voto con i Cinque Stelle, e Massimo D'Alema, più interessato a riprendere il controllo di un Nazareno senza Renzi.
E qualche scambio di ceffoni lo ha avuto pure con Laura Boldrini: questioni di linea politica, di rapporti con M5s, ma anche di rivalità tra alte cariche dello Stato. E se all'inizio l'ex presidentessa della Camera aveva dovuto indietreggiare, ora all'interno di Leu e tra i militanti sta rimontando diverse posizioni.
Poi c'è il caso-Possibile. Pippo Civati, assai penalizzato dalla ripartizione dei posti in lista, ha attaccato Grasso, colpevole di non aver saputo esercitare il suo ruolo di garante-mediatore, e ha minacciato di uscire la Liberi e uguali. La rottura è stata evitata, però i cocci rimangono.
Ma la questione principale è un'altra. Grasso non buca, non funziona come valore aggiunto e quindi Leu non decolla: i sondaggi danno la formazione al sei, sette per cento. Un punto o quasi glielo poterà via l'ultrasinistra di Potere al Popolo, formata dalla parte più dura dei ribellisti del Brancaccio.
La doppia cifra rimane un sogno e molti già parlano della campanella libera tutti che suonerà subito dopo il quattro marzo. Non è un caso forse che D'Alema abbia teorizzato un governo del presidente. Un altro presidente.
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