Scacciare l'idea di una «guerra per procura» prendendo coraggio nel varare un nuovo pacchetto di sanzioni, il sesto; che stavolta imporrebbe sacrifici anche al Vecchio Continente. Così l'Ue punta ad asciugare le casse di Mosca, provando a destabilizzare il forziere militare di Putin privandolo dell'incasso numero uno: quello derivato dal petrolio. E poi spingere lo «zar» a fare i conti con la realtà, sedersi a un tavolo negoziale e far tacere le armi.
Da oggi, però, si fermeranno i flussi di gas verso l'Ue da uno dei due punti di ingresso in Ucraina: «Le forze di occupazione interrompono le operazioni», fa sapere il gestore della rete con un fulmine a ciel sereno. Stop al transito attraverso Sokhranivka e contratti con l'Ue rispettati solo grazie a un altro «tubo». Ad Amsterdam e Londra esplodono le quotazioni. Panico in Europa, perché da lì passa circa un terzo del metano Ue. E Gazprom non dà conferme sul cambio di rotta del gas.
Emmanuel Macron, presidente di turno del Consiglio dell'Ue, stava provando a spronare i 27 sul bando «graduale» all'import di greggio e prodotti raffinati dalla Russia. Come chiesto da Zelensky: «L'Ue deve smettere di sponsorizzare la macchina militare russa». «Pacchetto» non approvato nel fine settimana e rimandato ancora. Perché ha un prezzo: dai contraccolpi sul Brent agli aiuti a chi è meno attrezzato (e magari senza mare come l'Ungheria). La missione di Von der Leyen a Budapest il 9 maggio non ha risolto granché. La telefonata dell'inquilino dell'Eliseo a Viktor Orbán, altro nulla di fatto. Il sottosegretario francese agli Affari Europei, Clément Beaune, ipotizza un accordo sul petrolio in settimana: «Probabilmente è questione di giorni». «Ci sono difficoltà, spero che entro lunedì siano appianate», altrimenti saranno affrontate nel Consiglio, a livello ministeriale, aggiunge l'Alto rappresentante per la Politica estera Ue Josep Borrell. Ma c'è un sottobosco, una giungla Ue in cui gli affari vengono prima degli ideali pro-Kiev sull'inviolabilità di Stato sovrano. Si punta infatti a stanare i furbetti che siedono tra i 27. La Grecia sta per esempio aiutando la Russia a vendere il suo petrolio grazie ai porti. Gli armatori di Atene hanno triplicato gli affari con Mosca dall'inizio della guerra (possono ancora farlo). E pure il paese della presidente dell'Europarlamento Roberta Metsola, Malta, come Cipro, vede nel chiaroscuro delle sanzioni un business da preservare; e con la Grecia stanno ingolfando Bruxelles.
Non basta l'ipotesi di un possibile Recovery Fund sull'energia, né le deroghe, per incentivare i 27 al sì. «Petrolio e gas sono le uniche cose che Mosca esporta ancora (a parte la guerra)», ricorda Mykhailo Podolyak, consigliere del presidente ucraino. Berlino sembra essersi allineata, dopo Roma. La gestazione del «pacchetto» petrolio si curerà oggi con una videoconferenza ad hoc. Se Orbàn può rimarcare ragioni tecniche, per i tre «giapponesi» dell'Ue è lo stop al viavai di petroliere a impensierirli. Non sarà più concesso di veicolare barili russi in mezzo globo.
L'Ungheria frena di più. «La loro raffineria è stata realizzata sulla base delle caratteristiche del petrolio di Mosca», riassume Borrell. Gli oleodotti di Budapest arrivano dalla Russia, e a Orbàn è stato concesso un anno e mezzo di deroga per riconvertire stabilimenti e macchine. Impossibile per i magiari ricevere petrolio: «È senza sbocco, e non esiste oleodotto che trasporti petrolio in Ungheria se non quello», ammette Borrell. Gli altri timorosi di restare a secco di greggio, senza contromisure da Bruxelles, sono Slovacchia e Repubblica Ceca, che come Budapest dipendono dall'oleodotto «dell'amicizia», il tubo russo che si vorrebbe chiudere: Druzhba. Da un lato i veti all'embargo energetico, dall'altro gli equilibri globali. Macron ieri ha sondato anche Pechino.
«Urgente arrivare al cessate il fuoco e rispettare l'integrità territoriale dell'Ucraina». Riferisce l'Eliseo la versione di Xi Jinping. Segnali, ma il Dragone si muove cauto: tra gli affari con Mosca e quelli con l'Europa. E con occhio puntato su Taiwan.
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