L e vere vittime del sisma sono gli imprenditori, coloro che devono soffrire i disagi maggiori causati dai quattro terremoti degli ultimi mesi. Gente messa sul lastrico dalla natura, prima, dall'inefficienza della macchina burocratica e dalla disorganizzazione altrui, dopo.
Alessandro Santori abita a Bagnolo, una delle sessantanove frazioni intorno ad Amatrice. «È una situazione insostenibile - spiega -. Siamo dovuti rimanere qui perché abbiamo gli animali, ma ora sono tre giorni che non riusciamo ad arrivare alla stalla per dar loro il fieno. Le balle sono accatastate e ricoperte da due metri di neve, così come sono ricoperti i trattori, i camion, le auto». Sono tutti agricoltori e allevatori in quella zona. «C'è gente che è stata costretta a buttare latte - dice ancora -, poi si parla di non mollare». Alessandro lavora nell'azienda agricola intestata alla madre della fidanzata. Hanno 140 pecore e 40 chianine. Stanno in un capannone, che lui stesso ha appuntellato e che teme, qualora tornassero scosse forti, possa crollare. «Le pecore stanno partorendo - chiarisce -, ma senza cibo ho paura possano morire. Sono nati 24 maialini, ma 16 sono deceduti dal freddo. Ci avevano promesso una stalla, quattro mesi fa. Non è mai arrivata. Ho fatto chiamate ai vigili del fuoco, spendendo 35 euro di telefono, ma nessuno è venuto. Hanno mandato la turbina, l'altro giorno, ma non aveva le catene e si è bloccata. Come al solito ce la dobbiamo sbrigare da soli». E poi tiene a dire: «È dura, come si fa a non mollare? Ci strappano la poca dignità rimasta. Già siamo costretti a vivere nei container perché le nostre case sono inagibili, ma così è davvero troppo».
Costantino Poggi abita a San Tommaso. Lui, il fratello e i genitori sono isolati e da 5 giorni gli animali non mangiano. «Abbiamo 60 capi tra mucche e pecore, in una stalla. I cavalli sono all'aperto e il fieno sotto la neve. Oltretutto, l'acqua dopo il terremoto è torbida. Abbiamo bisogno di qualcuno che venga ad aiutarci a liberare il fieno. Possibilmente l'Esercito. E poi necessitiamo di medicinali per i miei genitori che sono cardiopatici».
A Camerino c'è una situazione diversa, ma altrettanto drammatica. Stefano Massari ha un'azienda che vende prodotti di moda italiani: «L'edificio è in zona rossa - chiarisce - ed è inagibile dal tempo del terremoto». Ha chiesto aiuto a Confimprenditori, l'associazione presieduta da Stefano Ruvolo, che sta cercando di dargli voce. «Ho spostato la sede della mia impresa - racconta - in Umbria, da un imprenditore che mi sta dando una mano. Ma a questa situazione, inevitabile, si aggiunge lo sconforto per uno Stato che, nonostante le promesse e il varo di un decreto d'urgenza a sostegno delle imprese colpite dal terremoto, è venuto meno. Ci avevano garantito la sospensione delle utenze e delle rate dei mutui, un finanziamento a tasso zero con tre anni di preammortamento, un contributo di 5mila euro per gli imprenditori e i titolari di partita Iva, la cassa integrazione straordinaria e il ripristino attraverso i container delle sedi danneggiate dal sisma, invece non è stato fatto niente». Oltretutto - continua - i finanziamenti da 30mila euro delle banche non hanno tasso zero come dovrebbe essere previsto. Peraltro, i container promessi verranno consegnati con un ritardo di mesi. Non produciamo utili, non ce la facciamo più ad andare avanti così».
Massari spiega poi: «Ho addirittura dovuto anticipare io la cassa integrazione ai miei dipendenti, pur di riprendere un minimo di attività perché la richiesta alla regione Marche non è stata nemmeno protocollata». Lui, come moltissimi altri imprenditori di aziende delle zone terremotate stanno cercando di reggere e di far di tutto per vedere riconosciuti i propri diritti: «Non è facile - conclude - perché l'indifferenza del sistema ci uccide.
Come si fa a portare avanti un'azienda così? C'è chi non sta lavorando, ci mandano verso la chiusura delle attività, in questo modo».Insomma, ciò che non ha distrutto il terremoto lo sta facendo l'indifferenza di uno Stato che non ascolta i suoi cittadini.
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