Un fulmine a ciel sereno. Così è stato visto negli ambienti parlamentari del M5s un retroscena del Fatto Quotidiano in cui ieri si annunciavano, dandole quasi per scontate, le dimissioni del ministro dell'Istruzione Lorenzo Fioramonti. Troppo compromettenti le interviste dell'esponente pentastellato, con le minacce di abbandonare il governo nel caso in manovra non fossero stati stanziati 3 miliardi di euro per la scuola. Di miliardi in legge di bilancio ce ne sono 2. E allora Fioramonti, per non essere tacciato di incoerenza, starebbe pensando di lasciare la poltrona di ministro. Rimanendo deputato e continuando comunque ad appoggiare i giallorossi. Si tratterebbe della prima defezione nel Conte bis. Un addio che arriverebbe per una motivazione di principio. Troppo difficile da credere per la truppa grillina in Parlamento.
Dunque, ieri fioccavano le interpretazioni. Le scuole di pensiero sono sostanzialmente due. C'è chi crede che Fioramonti alla fine vada avanti, convinto dalla moral suasion di Luigi Di Maio, Giuseppe Conte e soprattutto del redivivo Beppe Grillo. E chi effettivamente ipotizza che possa lasciare l'incarico al senatore Nicola Morra. Per questi ultimi, il sospetto è che il titolare del Miur voglia avere le mani libere per giocarsi la sua partita di futuro anti-Di Maio nel congresso permanente interno al M5s. Già da un po' di tempo Fioramonti sta cercando di radunare attorno a sé un drappello di parlamentari stellati più vicini alle istanze «di sinistra» del grillismo. Ma il progetto sarebbe ostacolato da Casaleggio e dal Garante, più interessati alla stabilità dell'alleanza con il Pd (soprattutto Grillo) che ai destini del Movimento. Sia come sia, Fioramonti per ora smentisce: a margine di un convegno al Miur ha detto «sono qui, sto lavorando».
Nel dubbio, ieri Grillo, a Roma, ha incontrato Roberto Fico. Con lo scopo di placare le proteste di molti parlamentari vicini al presidente della Camera, insoddisfatti dalla composizione del nuovo Team del Futuro. Dove l'hanno fatta da padrone i fedelissimi di Di Maio e Casaleggio. «Ora l'unica cosa che conta è che il governo vada avanti», è il refrain di Grillo di fronte a qualsiasi obiezione. Lasciando l'Hotel Forum il comico ha parlato del M5s: «Io sono fiducioso adesso chiudiamo questa legge economica molto interessante: si chiude con pochi soldi e ci saranno delle sorprese», ha detto cripticamente Grillo. E ha proseguito: «Non so cosa sarà il Movimento tra venti anni, sono fiducioso. Credo che ci sarà una rivalutazione di tutto, lo spirito nostro si recupererà. È una questione di spirito, umanità, le famose parole guerriere».
Nel frattempo è deflagrato il caso del senatore Gianluigi Paragone, che ha votato no alla manovra, ma ha annunciato il suo sì al decreto fiscale. Paragone martedì, mentre Grillo incontrava i senatori, era a cena con «gli attivisti» assieme all'amico Alessandro Di Battista. E ieri su Rai Radio 1, a Un Giorno da Pecora, ha messo il carico da novanta. «Cosa farà se la cacciassero dal M5s?», hanno chiesto i conduttori. «Me ne vado facendo il dito medio» ha risposto lui mimando il gesto. Poi ha precisato che non andrà nella Lega.
Paragone si è detto convinto di spuntarla nel procedimento davanti ai probiviri: «Per espellermi dovranno sudare, si apra questo procedimento, io difenderò le mie ragioni facendo valere il programma, sarò io a vincerla». Concetti ripetuti qualche ora dopo, ospite a Tagadà su La7, dove ha aggiunto: «Comunque non mi dimetterò».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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