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Grillo l'ha già venduta. Scoppia la guerra Di Maio-Fico

Casaleggio jr frena: "Farla saltare? Sarebbe la nostra fine". Il silenzio di Di Battista

Grillo l'ha già venduta. Scoppia la guerra Di Maio-Fico

Roma - Roma e i capoccia, quelli della giunta Raggi messi all'angolo dai vertici nazionali dei Cinque Stelle. E ora che si fa? «Si marcia sul Campidoglio e poi a giugno si tira dritti per Palazzo Chigi». Ripulire la giunta pentastellata, limitare i danni e non perdere l'occasione di giocarsela da protagonista alle prime elezioni politiche. È la linea dura: le mani M5S sulla giunta capitolina per mettere in sicurezza quei «casinari romani», basta indugi, basta fiducia condizionata, stop. Tanto per confondere un po' le acque già decisamente torbide, Beppe Grillo va controcorrente, ma è solo apparenza, l'ennesimo colpo di teatro: dalla Capitale se ne va ieri, in mattinata. Partenza intelligente, esce dall'hotel alle cinque, alle sei prende il primo treno per Genova. Lascia che sia Davide Casaleggio a gestire le cose.

Lui è il mediatore: tra quelli che vogliono la testa di «Virginia e del suo raggio magico» e i consiglieri pentastellati che non vogliono mollare il sostegno e il simbolo delle Cinque Stelle. Grosso guaio, sempre peggio. Urla in un apparente silenzio, che lasciano trapelare una dichiarazione choc della sindaca: «Non mi riconosco più in questo Movimento», a margine di un'infinita riunione di maggioranza, stritolata tra il diktat dei capoccia nazionali e dei dissidenti della prima ora. «Abbiamo il 70 per cento dei consensi, non molliamo», ripeteva lei. Basta? Non basta? E se la notte porta sfiducia ecco che la sindaca prova a giocare la carta a sorpresa: «Me ne vado io». In fondo sarebbe un gran favore a Grillo. Frena Casaleggio: «Non basterebbe a ripulire l'immagine del Movimento a livello nazionale. E sarebbe una sconfitta dal punto di vista amministrativo. Ci schiaccerebbero dicendo: non sanno governare Roma, figuriamoci l'Italia». Per questo si media. E si cerca un vicesindaco «perché la possibilità che Raggi sia indagata resta elevatissima. Noi diciamo il contrario, guardiamo le carte, ma prepariamoci. Si dovrà dimettere, almeno autosospendere. E il vicesindaco non può essere Frongia, lui ha messo Virginia in questo casino, si fidava sempre e subito di Marra. Frongia se ne deve andare e pure Salvatore Romeo e deve sparire anche Renato Marra. Via tutti, il vicesindaco deve essere un uomo di nostra as-so-lu-ta fiducia. Qui scoppia l'ultima guerra, la rivolta dei peones consiglieri. Casaleggio media, due nomi: il consigliere Paolo Ferrara più di Marcello De Vito, presidente del Consiglio comunale, dalla prima ora nemico in Campidoglio di Virginia Raggi.

La guerra è appena iniziata, il virus del Campidoglio «non deve infettare il sogno di Palazzo Chigi e di un primo governo M5S».

Lo ha già fatto e l'infezione si propaga, per scegliere il prossimo candidato premier si dovranno fare i conti con il caso-Roma: Luigi Di Maio ormai è al tappeto, Alessandro Di Battista, mai pervenuto sui bordelli romani, traballa. Ma è nell'ala dura che emerge un nome, quello di Roberto Fico, il grillino di Neanderthal: da presidente della vigilanza Rai non ha fatto danni. E ha pure una laurea, di questi tempi pare importante.

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