«Pensavo di aver fatto un bellissimo regalo a mia figlia e invece ora mi ritrovo in un incubo». Francesca F. è una delle migliaia di mamme che al momento del parto hanno deciso di affidarsi alla società privata CryioSave per la conservazione autologa del cordone ombelicale.
«Ora non so dove si trovino davvero le cellule staminali di mia figlia ed a questo punto non ho alcuna certezza che non siano state già usate da qualcuno in modo improprio e la notte non riesco più a dormire», racconta la donna. La questione sta per finire sul tavolo delle procure di tutta Italia perché migliaia di genitori coinvolti da oggi presenteranno denuncia per sapere che fine abbia fatto «il patrimonio genetico» dei loro figli chiamando in causa sia la CryoSave, che ora è fallita, sia la polacca FamiCod alla quale sarebbero stati affidati di campioni. L'ipotesi è violazione della legge sui trapianti. Il timore si spera infondato, è che le staminali siano state commercializzate. Il caso CryoSave è esploso a metà settembre e ogni giorno nuovi particolari si aggiungono a quella che si profila come un vicenda dove il rispetto della legalità e la tutela della privacy sono state ignorate a tutto danno di circa 15.000 famiglie italiane. Ma la vicenda ha dimensioni enormi: i campioni di cellule affidate alla CryoSave in Europa sono oltre 330mila.
A raccontare l'intricata vicenda è Francesca una delle tante mamme coinvolte. Nel 2009 partorisce in un ospedale pubblico la sua seconda figlia. In Italia la conservazione autologa non è ammessa, si può donare il cordone soltanto ad una banca pubblica, non conservarlo per se stessi. Nessuno allora spiegò a Francesca che la conservazione autologa non ha molto senso perché non è detto che domani le cellule staminali di sua figlia potranno essere compatibili e utili a curare una sua patologia. Anzi. Se dovesse sviluppare una malattia di origine genetica è ovvio che l'ultima cosa da fare sarebbe usare le sue stesse cellule. Eppure la conservazione autologa dal 2009 è andata avanti coinvolgendo migliaia di famiglie. Il cordone ombelicale, previa autorizzazione del ministero della Sanità per l'esportazione, viene prelevato da un fattorino e dopo aver pagato 2.500 euro ed aver ricevuto una mail di conferma che il campione era stato stoccato in una struttura in Belgio per Francesca la questione era chiusa. Si sarebbe riaperta soltanto vent'anni dopo, come previsto dal contratto stipulato con la società per l'eventuale conferma se proseguire lo stoccaggio e il passaggio di proprietà alla figlia oramai maggiorenne. Tutto tranquillo fino a metà settembre di quest'anno quando con una mail la CryoSave informa i propri clienti di aver «chiuso un accordo» con «la Famicod il cui laboratorio europeo è a Varsavia, per i nostri servizi di crioconservazione dei campioni a lungo termine». I campioni si viene a sapere poi sono stati spostati mesi prima senza che i genitori, unici legittimi proprietari, ne fossero informati. La Famicod però è responsabile soltanto dello stoccaggio mentre resterebbe in piedi il contratto di responsabilità con la CryoSave. Peccato che si venga a sapere poco dopo che la società è fallita. Le notizie negative arrivano a valanga. Emerge che la CryoSave ha stoccato le cellule in Belgio nonostante il paese nel 2011, avesse proibito tale pratica con un provvedimento del governo. Nel 2015 la CryoSave si è dunque spostata in Svizzera lasciando però i campioni raccolti negli anni passati in Belgio. Non solo. In Italia la società ha continuato a stipulare contratti per la conservazione fino al giorno prima del suo fallimento nel luglio del 2019. E c'è chi ha pagato 4.000 euro. Le famiglie nel frattempo si sono organizzate, sollecitando anche l'intervento delle istituzioni. Ma non ci sono state per ora risposte certe da parte della Famicod alla quale sarebbero stati affidati il 98 per cento dei campioni. É nato un gruppo su Facebook che raccoglie circa 5.000 genitori e in questi giorni si è organizzato per inviare una pioggia di esposti per imporre alla FamiCord di dar risposte certe sullo stoccaggio delle cellule. Intanto la società polacca sollecitata da uno degli avvocati del gruppo ha fatto sapere che i genitori «potranno decidere di trasferire altrove le cellule» ma ovviamente occorreranno nuovi permessi e comunque qualsiasi operazione comporterà costi aggiuntivi non meglio definiti. A meno che i genitori non decidano di «donare» alla società le cellule staminali dei loro figli.
Al momento hanno negato la possibilità di visitare l'impianto. «Ci rivolgeremo anche alla Corte Europea dei diritti dell'uomo - conclude amareggiata Francesca- Speriamo intervenga visto che sono stati violati fondamentali diritti umani».
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